Lei è simpatica, lui ha stile. Rosita e Ottavio si sfiorano con gli occhi quando lui esce dal tunnel che porta gli atleti in pista per la finale dei 400 metri ostacoli. Il mondo torna a fare sport, e i giovani a guardarsi: la Guerra ha lasciato ferite immense ma a Londra si prova a farle guarire. L'anno è il 1948, le Olimpiadi si ritrovano dopo due edizioni cancellate. E i Giochi fanno incontrare, sempre. Poi qualche volta si accende la scintilla. Ottavio Missoni ha 27 anni e le gambe lunghissime. Non sa ancora che diventerà famoso vendendo maglioni colorati. Catturato a El Alamein, arriva da quattro anni di prigionia. Cerca la sua libertà in mezzo a Giochi poveri anche di cibo, con le squadre che se lo sono portato da casa, e il Villaggio allestito nelle caserme. Rosita Jelmini invece ha 17 anni, a Londra c'è arrivata con le suore perché il liceo linguistico svizzero dove studia ha organizzato una sessione all'estero. Vede Ottavio dagli spalti, un incrocio di pupille che a lei basta per chiedere a un'amica comune, mesi dopo, di incontrarlo a Milano. Si sposano, restano insieme 59 anni ricordando per sempre quei Giochi dove lui arriva sesto in pista, ma primo nel cuore.
Sono storie, intrecci, podi da dividere in due. Si dice che gli atleti siano esseri umani come gli altri. Ma non è vero. Gli atleti della domenica, i dilettanti e i mediocri forse sì. Ma i campionissimi da medaglia vivono in una dimensione inimmaginabile di sacrifici, di fatica, di narcisismo, di dedizione ossessiva, di adulazione spudorata quando vincono, e di depressione inconsolabile quando perdono. L'amore per loro è un traguardo. Vince chi arriva, anche ultimo va bene.