Pochi mezzi, grandi risultati
Secondo il centro studi bolognese, nella sua indagine annuale, i guai del settore derivano da una bassa taglia aziendale (solo il 2,2% delle aziende ha più di 50 ettari di Sau), dall'alta intensità di manodopera per ettaro che determina una bassa produttività del lavoro (valore aggiunto per unità di lavoro), e quindi dalla polverizzazione delle imprese oltre che da un diffuso ridotto sviluppo tecnologico. Il risultato è un'agricoltura che eccelle, ma che rischia sempre di scivolare indietro nelle quote di mercato e che oscilla fortemente fra dati positivi e altri negativi.
Basta pensare, per esempio, all'indice di ricambio generazionale che è fra i più bassi d'Europa, ma anche al tasso di investimenti che in termini assoluti sono i più alti del Vecchio Continente ma i più bassi se rapportati al numero di imprese. Senza contare che l'incidenza della spesa comunitaria sul totale del valore della produzione agricola per l'Italia è pari al 14%, mentre la media europea arriva al 17,5% e ci sono Paesi che arrivano al 30. La situazione aziendale, poi, è tale da aver fatto individuare da Nomisma aziende che non sono «imprese» per le loro ridotte dimensioni, e che tuttavia esistono.
Eppure il quadro dovrebbe essere più positivo, questa almeno è l'impressione se si guarda agli scambi con l'estero. Sempre il Rapporto Nomisma, infatti, ci dice che «l'Italia mostra interessanti segnali di vitalità», che l'export è ormai arrivato a 24 miliardi di euro per anno e, soprattutto, che negli ultimi dieci anni, si è registrato un incremento notevole della quota di mercato italiana sull'export agroalimentare mondiale (+104%). A conti fatti, l'Italia è al decimo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi che esportano prodotti agroalimentari. E l'export agroalimentare italiano è aumentato di più rispetto all'incremento di quello mondiale (+89%). Numeri d'oro quindi, che si scontrano con i problemi che gli stessi imprenditori segnalano come fattori critici della competitività. Prima di tutto l'accesso al mercato, poi la burocrazia, l'accesso al credito e il costo della manodopera. Di fronte ad un quadro di questo genere, è doveroso chiedersi quale sia la sfida da affrontare. Si tratta di risolvere questioni strutturali, ma anche congiunturali e di mercato, oltre che strettamente produttive e tecniche. Non è una sfida facile da affrontare, ma è certamente l'unica che, vinta, consente agli imprenditori agricoli del nostro Paese di guardare avanti con un minimo di fiducia.