Poche riflessioni (ma ficcanti) sulla presunta teatralità del male
Il mostro è mistero inconoscibile, da accettare senza troppo indagare. Sulla “Stampa” (26/9) Michela Tamburrino intervista Franca Leosini, giornalista che in tv da anni indaga sui “delitti mostruosi”, su «giovani che ammazzano i genitori senza provare sensi di colpa». Per lei, è «troppo facile rifugiarsi nella malattia mentale» e d'altronde «io mi occupo dei guasti della vita, non dei guasti della mente». Se la mostruosità è eccezionale, Gabriele Romagnoli (“Stampa”, 25/9) coglie invece una ripetitività per nulla eccezionale: «Che l'assassino di famiglia non si scomponga e riprenda subito la sua vita normale è una costante che non si vuole ammettere». Infatti, niente di eccezionale: né l'omicidio in famiglia, né la brama di denaro. Di inedito Massimo Gramellini (“Corriere”, 25/9) individua il correre in tv a “Chi l'ha visto?”: «Questa non è più la banalità del male. Questa è la teatralità del male». E Vittorino Andreoli spiega ad Alessandro Fulloni (“Corriere”, 25/9): «Qui non c'è odio. Semplicemente a loro la madre non interessa. Noi vogliamo i soldi, nostra madre non ce li dà e dunque la facciamo fuori. Inutile cercare filosofie». Banalissimo.