Un maestro di politica, che anche per le res gestae (le cose fatte) ha segnato la storia d'un secolo, diceva che in politica le sfumature sono tutto. Era un cattivo maestro: il discrimine sono le sue scelte strategiche; e certo della impresa principale da lui compiuta resta poco, se non dentro i libri: soltanto macerie nelle coscienze e nelle città degli uomini. Ma l'asserzione riportata all'inizio ci insegna ancora qualcosa di vero. Proprio l'assoluta ignoranza delle sfumature, nelle analisi (chiamiamole analisi) e nelle proposte (chiamiamole proposte), rivela il vuoto di non poca attuale politica. Lo squilibrio delle parole e dei gesti rispecchia la grave crisi di senso, di valori. I discorsi divengono estremi e generici, i comportamenti si discostano dalla realtà, nell'assenza d'ogni progetto e d'ogni capacità di incidere positivamente sulle cose. In questo senso è giusto chiamarla antipolitica. Cesare Zavattini raccontava la storiella della gara a chi dice il numero più alto, vinta da un tale che aveva urlato per ultimo: più uno. Ecco, è ciò che succede a noi: solo che in certi settori della nostra politica, minacciosamente ampi, i più uno si vanno moltiplicando all'infinito. (Il cattivo maestro, forse meno cattivo di altri, si chiamava Vladimir Ilic Uljanov detto Lenin).