Più di tutto mi manca di poter dare carezze
Riesco ancora a deglutire e a respirare in modo indipendente – e questo è importantissimo –, ma per il resto da solo non posso fare niente, sono più o meno un pacco che dove viene messo sta. All'inizio, quando questo processo si andava manifestando, la sua rapida progressione mi atterriva, perché l'idea stessa di non essere autonomo – e di finire inevitabilmente per pesare sulla mia famiglia – era per me inaccettabile. Salvo, ovviamente, il doverlo accettare per forza, come con tutto ciò che questa malattia comporta. Se così non fosse, d'altra parte, ci sarebbe solo da impazzire.
Dunque, a poco più di due anni dalla diagnosi, posso dire sul serio che non mi manca nulla? No, perché una cosa c'è che davvero mi manca tantissimo, terribilmente. Ed è la capacità di fare una carezza alle mie figlie. Può sembrare una cosa molto piccola nel mare delle privazioni che questa malattia ti impone. Ma non è così. E ogni volta che si avvicinano e mi abbracciano, vorrei poter sollevare quella mano e sfiorare i loro capelli come facevo quando erano piccole. Più di un bacio, più di un abbraccio, secondo me la carezza esprime meglio di ogni altro gesto la paternità, quel misto di tenerezza e di protezione, di attenzione e di cura che vorresti calare come una corazza perenne su di loro per difenderle.
E allora quella mano che non riesce più ad alzarsi, a rispondere alla mia richiesta di compiere quel gesto così semplice, facile ma tanto importante, mi lascia dentro una grande, inconsolabile tristezza. E poi va bene, di sicuro ha ragione mia moglie quando mi dice che si può accarezzare anche con gli occhi, ma non è la stessa cosa.
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