Esiste, è sempre esistito e dovrebbe continuare a esistere un pensiero politico razionalmente elaborato. Esiste poi (o esiste prima) la lotta politica con i suoi strumenti, le sue organizzazioni, partiti, ideologie, competizione elettorale, occupazione del potere. È noto, ma è anche grave, che la lotta politica usi il pensiero politico riducendolo in polvere, in propaganda e slogan contundenti che ostacolano una conoscenza obiettiva e onesta della realtà. È invece proprio su una realtà accuratamente studiata e capita che sarebbe necessario discutere quando si cerca politicamente la migliore soluzione possibile dei problemi sociali. Prendiamo l'esempio, oggi centrale, delle migrazioni. L'editore Franco Angeli ha pubblicato un volume a cura di Angelo Turco e Laye Camara, Immaginari migratori (pagine 342, euro 39,00) che dovrebbe essere usato come un manuale, una guida, una fonte di riflessioni e di dati su un problema socio-geografico e storico fondamentale per l'Europa del presente e del futuro. Il quadro empirico e analitico tracciato da Turco nel suo libro a più voci non cede né a semplificazioni né a impazienze pragmatiche e politicamente strumentali. Evita di mettersi al servizio dei due “monologhi” politici oggi più praticati: il monologo di coloro che si dichiarano per una generica accoglienza umanitaria e il monologo di chi, per ragioni presunte di sicurezza, rifiuta irrealisticamente i migranti. Un conflitto, questo, che invece di produrre “argomenti” produce “retoricheö. Purtroppo gli schieramenti politici si servono più di retoriche emotive che di argomenti fondati, mentre per immaginare soluzioni sperimentali e di buon senso sarebbe necessario alimentare più il dialogo che le contrapposizioni di schieramento. Si tratta di costruire e promuovere, spiega Turco, una “cultura della migrazione” e di intendersi, per esempio, su un termine vacuamente abusato come “integrazione” che non significa elargire, omologare, concedere dall'alto. Il processo sociale richiede piuttosto l'accesso dei migranti ai diritti e ai doveri della cittadinanza, da accettare e praticare non rinunciando alle varietà e specificità culturali. Il migrante non è certo un soggetto passivo dotato di un'identità fissa. Ogni incontro e convivenza ha le sue difficoltà e i suoi tempi di elaborazione. Ma una cultura dell'emigrazione, della cooperazione, della comunicazione potrà essere un bene per società pigre, inerti e in disgregazione come stanno diventando le nostre. I migranti ci portano il mondo in casa. Per dominare le nostre ansie dovremo avere l'immaginazione e il coraggio di capirlo.