«In concomitanza col dilagare di grandi epidemie (…) l'attenzione si sposta su quelle misure di profilassi preventiva che tengono al riparo dall'infiltrazione di elementi allogeni. Di qui la necessità sempre più sottolineata di barriere, protezioni e apparati immunitari». In seguito, però, accade che: «il male continua a essere indicato come la causa che indebolisce il corpo politico e ne minaccia la vita ma ciò non esaurisce la sua funzione che viene ad assumere anche un segno positivo (…). La malattia rafforza per contrasto o addirittura crea le autodifese dell'organismo malato». Il farmaco di cui Roberto Esposito tratta nel suo prezioso saggio Immunitas, si può esemplificare anche nel nostro vaccino. La percezione che in esso ci sia una scheggia di quella malattia che si intende evitare, genera la paura di farsi vaccinare. Dopo il vaccino, quelle ore di febbre, brividi o mal di testa, che molti di noi accusano, segnalano l'impatto, oltre che fisico anche psicologico, in qualche modo col virus, e sono fonte di dubbio e di sospetto. Una dinamica che fa pensare a Gesù quando si fa toccare dal lebbroso. Un gesto sciagurato per i fanatici della purità, i quali si aspettavano che Gesù ne restasse contagiato. Ma accadde proprio il contrario: che il lebbroso guarì!