«Perdere così fa male all’anima…». Ci sono tanti modi per commentare una sconfitta, uno solo per capire cosa possa voler dire veramente. L’anima che duole era quella di Petra Zublasing, cognome difficile, storia semplice, campionessa azzurra di tiro a segno, capelli corti, zero fantasmi. Dalla bocca le uscì la frase più bella di tutte le Olimpiadi di Londra 2012, almeno la più intensa delle frasi che mi ricordo. Fu una prova negativa la sua, sparò male, deluse se stessa e chi pensava che dalla sua carabina uscisse la prima medaglia azzurra in quei Giochi. Ma non fu il podio sfumato che la schiantò. Strano sport il suo, concentrazione totale, un bersaglio, sempre quello. Cento, mille colpi al giorno. Petra con gli occhi bassi e un macigno sul cuore mi spiegò che quando a casa, tutti i giorni, tutto l’anno, ti alleni e fai risultati molto migliori di quelli che raccogli poi nell’occasione della tua vita, nella gara delle gare, nella prova dell’Olimpiade, la desolazione può essere devastante. Non sanguina l’orgoglio in questi casi. Sanguina la tua comprensione, e ti si strizza il cervello alla ricerca dei perché. L’anima che “fa male” allora dice tutto. E raccoglie un concetto, che senza aver mai gareggiato in un’Olimpiade, nella vita tutti prima o poi abbiamo provato a tradurre. Sentirselo ricordare, alla fine, può essere una piccola vittoria.
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