Ah, la filologia! Ah, l'etimologia! Per esempio, a me dà fastidio leggere (e capita spesso) “succube”, anziché “succubo” o “succuba”. Succubo, infatti, è il contrario di “incubo”, per cui, siccome nessuno dice “incube”, così non si dovrebbe dire “succube”. L'etimologia è chiarissima: “incubo” è il demone maligno che, nella superstizione, sta sopra il dormiente; quindi il demone che sta sotto è “succubo”, non “succube”.Spesso usiamo parole di cui non conosciamo l'esatto significato, e per questo viene in soccorso l'etimologia. Alessandro Parenti, che dal 1997 è segretario del Circolo Linguistico Fiorentino, e dal 2000 insegna Glottologia nell'Università di Trento, spiega gli arzigogoli etimologici di alcune parole nel volume Parole strane. Etimologie e altra linguistica (Leo S. Olschki Editore, Firenze 2015, pagine 178, euro 18,00).Per esempio, càpita di “trattare tutti alla stessa stregua”: ma che cos'è la “stregua”? Anche il Devoto-Oli la fa derivare da “tregua”; ma, a parte l'assonanza fonetica, “tregua” e “stregua” non sembrano avere molto in comune. Il professore Parenti non è uno che si accontenti troppo facilmente e, consultando il discorso Dell'origine della città di Firenze di Vincenzio Borghini (1515-1580), nonché La lucerna dell'anima di Agostino da Montalcino (1590) e altre antichità, conclude che, in passato, “stregua” aveva il significato di “porzione, spettanza, razione”. Dunque, “trattare tutti alla stessa stregua” vorrebbe dire dare a ciascuno la stessa porzione. Potrebbe bastare così, ma per Parenti è ancora poco. Consultando testi del XII secolo, risulta che “stregua” è sinonimo di “staffa”. Trattare tutti alla stessa staffa? Non sembra chiaro. Bisogna però sapere che, al tempo, “porgere la staffa” all'ospite per aiutarlo a salire o scendere da cavallo, era gesto servile o di cortesia, tanto che il Barbarossa dapprima si rifiutò di porgere la staffa ad Adriano IV nell'incontro di Sutri nel 1155. Ma poi l'imperatore dovette ripetere per due volte il gesto con il successore di Adriano, Alessandro III. Non basta ancora. Franco Stecchetti racconta che Bernabò Visconti volle giocare uno scherzo a un notaio molto basso di statura, che gli era antipatico e, per sbarazzarsene, lo invitò a una passeggiata a cavallo, non prima di aver intimato a un famiglio di allungare le cinghie delle staffe del cavallo, in modo che il notaio si trovasse completamente a disagio. Pertanto, «“andare alla stregua di qualcuno” doveva significare “procedere a cavallo con staffe di lunghezza adeguata a qualcun altro”». Non è bellissimo?Parenti ragiona su “iosa”, “a isonne”, “baliere”, “boncio”, “gandavugli”, “parole guarmine” e altre “stranezze” che cito soltanto per incuriosire. Assai divertente l'etimologia di “scagnozzo”, parola largamente diffusa. Può ben derivare da “cane” e da “scagno”, lo sgabello su cui si sedevano i meno importanti. Ma “scagnozzi”, a Roma, dal Settecento in poi, erano designati certi preti extradiocesani sempre alla ricerca di messe o di funerali da celebrare, non avendo altro sostentamento. E fu Pio X a intervenire per sopprimere quel poco commendevole uso. Etimologicamente, però, c'è di più. Il Vocabolario di Francesco Zambaldi (1913), alla voce “scagnozzo” riporta: «A Roma è il prete che va in cerca di messe o di funerali per buscarsi da vivere, forse come il cane che va fiutando fra le immondizie. Con scanno non si vede relazione alcuna e nemmeno con scanusia vestis, veste monastica che tenevasi sotto i paramenti. Scannium si disse per scambio e potrebb'essere il prete di ricambio». Ecco, anche gli “scagnozzi” giustamente aboliti da Pio X vengono un po' nobilitati come preti di riserva, per cui “scagnozzo” potrebbe stare per “sostituto”, sia pure con sfumatura spregiativa. Quisquilie? Sottigliezze? Comunque, leggere un libro di etimologia è sempre meglio che vedere il Festival di Sanremo.