Il tentativo autoritario (e illegale) del Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, di costringere i medici obiettori a svolgere anche le mansioni non direttamente collegate, ma preparatorie dell'aborto, è stato salutato con entusiasmo e giubilo dai quotidiani laicisti. Per loro, come per la recente sentenza della Corte Costituzionale, valgono i (presunti) diritti degli adulti contro i diritti (reali) degli infanti. La Repubblica, per esempio, fa un titolo che sembra un sospiro di sollievo: «Aborto, basta obiettori» (mercoledì 25). Il Fatto Quotidiano si produce in una specie di sentenza: «Legge 194: obiettare su tutto non è un diritto» (giovedì 26), ma è sbagliata, perché l'obiettore può astenersi da tutte le azioni, anche se burocratiche e formali, che preparano o conducono all'aborto (vedi art. 9 della Legge). «Scelta corretta», è un titolo dell'Unità (martedì 24) al commento di una Signora che è professore ordinario dell'Università di Milano, ma scrive che la Legge 194 «garantisce l'obiezione di coscienza ai medici limitatamente al momento dell'interruzione della gravidanza entro limiti rigorosi» e, invece, l'articolo 9 precisa che non solo i medici, ma anche «il personale sanitario ed ausiliare (infermieri e portantini) non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7». Il Manifesto riferisce che con il suo diktat «Zingaretti mette i paletti ai medici obiettori» e li vorrebbe costringere anche a fornire la pillola del giorno dopo, a inserire la spirale e a rilasciare il "passi" per l'aborto, mentre certamente i suoi "paletti" sono abusivi, perché l'ordinanza è contraria alla legge. Scrive bene Giuliano Ferrara su Il Foglio (giovedì 26): «Così, con uso basso del cinismo, si rovescia completamente il paradigma della libertà di coscienza nel suo opposto simmetrico: il politicamente e ideologicamente e deontologicamente corretto». Infatti, «l'obiezione di coscienza è l'ultima frontiera che mette il mondo al riparo, almeno un poco, da una completa sordità morale di fronte all'espropriazione della vita, del suo senso e del suo annichilimento nel seno di chi la dà».SE IL DOLORE È BUONOSotto un "occhiello" che dice "Straparlando" e sembra voler squalificare ciò che c'è scritto sotto, La Repubblica pubblica (domenica 22) un'intervista a Umberto Veronesi, di cui mette in risalto il concetto di fondo: «Non c'è nulla di buono nel dolore, bisogna combatterlo senza tregua». Giusta la conclusione, discutibile la prima affermazione. Anche lasciando da parte la sublimazione del dolore che è la fede a suggerire (per esempio nel martirio, ma non solo), qualcosa di "buono" è possibile trovare nel dolore. Pensiamo a chi in guerra si sacrifica per la salvezza degli altri, ai partigiani che preferirono la tortura alla delazione, alle madri che accettano lo strazio del parto, a chi accetta, per amore del prossimo, di donare un proprio organo, al malato che non vuole perdere la coscienza per tanti possibili e validi motivi, all'atleta in allenamento e anche ai dolori dello spirito, per esempio al rimorso o alla prigionia accettata, che aiutano a una conversione di vita. Perché escludere a priori qualche valore nel dolore fisico, che certamente va combattuto, e in quello della coscienza o dell'anima che può salvare?SAN FRANCESCO COMUNISTA?Su l'Unità un'intera pagina è dedicata alla «leggenda di San Francesco», anzi a «quel comunista, a quel militante comunista di San Francesco», che «nella condizione comune della moltitudine scoprì la potenza ontologica di una nuova società» (ma forse erano i comunisti che volevano sembrare francescani).