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Perché possa tornare lo "spirito di Helsinki"

Gianfranco Marcelli martedì 2 luglio 2019
Modesta proposta per il semestre di presidenza finlandese del Consiglio dell'Unione europea, che si è aperto ufficialmente ieri, 1° luglio, in piena bagarre finale fra i Paesi membri, per la ripartizione delle cariche di vertice della Ue e per il futuro assetto degli equilibri comunitari, alla luce dell'ormai imminente Brexit. La proposta si addice in modo particolare al governo di Helsinki, che l'anno prossimo festeggerà 25 anni dalla sua adesione alla "casa comune" continentale e 45 anni dalla conclusione della storica Conferenza sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa, che si svolse in quella città e aprì la strada al superamento della Guerra fredda e alla distensione fra Est ed Ovest.
L'idea nasce da un altro, ben più tragico, anniversario che si approssima di qui a soli due mesi: l'inizio della Seconda guerra mondiale, scatenata dalle armate del regime nazista il 1° settembre 1939, esattamente ottant'anni fa. Di solito si preferisce ricordare le date positive del nostro passato. Ma evidentemente qui non si tratta di "solennizzare" quel tragico evento, quell'immane incendio che bruciò in sei anni 68 milioni di vite, 55 milioni delle quali europee. L'obiettivo piuttosto è quello di dar vita a una sobria e simbolica commemorazione, ma corale quanto basta e capace di risvegliare la memoria dei nostri popoli.
Di un tale "memento comunitario" c'è di questi tempi un grande bisogno. Se è vero quanto raccontato in prima persona dal protagonista Donald Trump, pochi giorni fa siamo stati a un passo da un clamoroso evento bellico, foriero di conseguenze difficili da calcolare. E di focolai simili, magari anche più pericolosi seppure meno pubblicizzati, ce ne sono diversi sparsi fra i cinque continenti. Da casa nostra, ad esempio, basta affacciarsi verso sud per trovare seri motivi di preoccupazione da quanto accade nella "scatola di sabbia" libica.
Un'iniziativa simbolica ma di forte impatto mediatico, all'insegna del rilancio della pace come valore cardine della costruzione europea, sarebbe una straordinaria carta da visita per la presidenza di turno Ue, specie se condivisa con il neo eletto Parlamento e con la presidenza slovacca dell'Osce, l'Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza che dalla Conferenza di Helsinki prese origine.
Qualche obiezione o malumore potrebbe levarsi da una o dall'altra leadership locale neo-nazionalista, ma sarebbe facile zittirla. Perché l'orizzonte della riflessione da proporre non può limitarsi a quello della nostra Europa. Non si tratta, in altri termini, di fare della polemica da cortile di casa, anche perché la campagna elettorale è per fortuna alle spalle. Lo sguardo va invece esteso a livello universale, rilanciando quello "spirito di Helsinki" che destò a suo tempo grandi speranze in tutto il mondo.
Del resto, appena sette anni fa, la Ue ha ricevuto
il Premio Nobel per la pace, assegnatole, spiegava la motivazione, per aver saputo trasformare gran parte del territorio europeo «da un continente di guerra a un continente di pace». A dire la verità quel riconoscimento, giunto a nemmeno un anno dai bombardamenti su Tripoli voluti a tutti i costi da Francia e Gran Bretagna, fece comprensibilmente storcere il naso ai veri amanti della pace. Come pure quello "previo" attribuito a Obama nel 2009, che due anni dopo affiancò i suoi "Tomahawk" alle armi europee.
Ma nella storia c'è sempre tempo per riscattare gli errori. Il nuovo governo finlandese di Antti Rinne, a prevalente presenza femminile (11 ministri su 19), senza paura di sembrare velleitario, ha una bella occasione per smuovere le acque stagnanti del dibattito sul futuro dell'Unione e ammonire gli europei che la pace non si finisce mai di costruirla.