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Perché non serve essere Kierkegaard o Dostoevskij per tenere un diario

Alfonso Berardinelli sabato 24 luglio 2010
Con il passare degli anni ci si rende conto di quale danno abbiamo fatto a noi stessi nel non aver tenuto con impegno e costanza un diario. Che cosa non pagherei per sapere che tempo faceva, come mi sentivo, che cosa mi passava per la testa, come ho trascorso quel giovedì di ottobre del 1982, quel martedì di aprile del 1997" Scrivere un diario ci sembra ormai una perdita di tempo. Sembra che oggi non sia successo niente da ricordare. E poi (ci si dice) io non sono così importante, così memorabile! Eppure che altro abbiamo, se non quello che siamo e che ci succede, che ci è successo giorno per giorno in quella che infine chiamiamo la nostra vita? Perderla, tutti la perdiamo. Ma sappiamo anche che se c'è un dovere, quel dovere è non perderla. Scrivere un diario aiuta a esaminare il presente. A fare il conto delle cose inutili, delle azioni mancate, dei momenti felici, dei progetti che si realizzano o no.
Ma per scrivere un diario ci vuole un metodo, uno stile. Si dovrebbe scrivere con attenzione, certo: ma anche, credo, più rapidamente possibile, salvo approfondimenti e riprese. Di grandi modelli ce ne sono. Per me, forse il massimo è il diario di Kierkegaard: lì il grande scrittore di pensiero c'è tutto e parla di sé parlando di tutto. Nello Zibaldone di Leopardi il diario è sopraffatto dalle riflessioni e dagli appunti di studio. Non ho mai apprezzato Il mestiere di vivere di Pavese. Ci sono poi i diari di lavoro e i taccuini, come quelli di Henry James, Emilio Cecchi, Brecht. Il diarismo di Virginia Woolf, di Musil, di Kafka raggiunge livelli di intensità e intelligenza difficilmente eguagliabili. I diari di Tolstoj sono piuttosto sbrigativi e deludenti. Il Diario di uno scrittore di Dostoevskij somiglia piuttosto a una rivista scritta da un solo autore, è un'opera letteraria.
A volte gli appunti, per grazia del caso, possono avvicinarsi alla poesia. Un'altra modalità è l'aforisma. I migliori vengono per caso in conversazione. Essere intelligenti senza volerlo: che c'è di meglio?