Perché l'allenatore non è solo un tecnico
Ci ho ripensato in questi giorni, quando la cronaca ci ha riportato alla sconcertante realtà del vice-allenatore della categoria Giovanissimi del Grosseto capace di scrivere, sul proprio profilo Facebook, un commento idiota, volgare e sessista nei confronti di Greta Thunberg, ragazza appena più grande dei calciatori affidati alle sue cure. Erano, per fortuna, perché benissimo ha fatto il Grosseto Calcio a interrompere immediatamente ogni rapporto con lui. Non voglio entrare nel merito delle opinioni su Greta, mi chiedo soltanto se tutta questa frustrazione non rappresenti altro che il nostro rimpianto di adulti di non aver più 16 anni e, induriti e incattiviti, di non credere più alla meraviglia di poter cambiare il mondo. Non voglio entrare neanche nel merito di un giudizio su questo tecnico, riservando il termine allenatore a chi manifesta in modo più alto questo mestiere. Sono certo avrà capito l'idiozia commessa, considerato che, come ormai fanno tutti, dopo aver rovesciato bile e volgarità nel vomitatoio dei social media ha chiesto scusa, purtroppo un attimo dopo essere stato sbugiardato in pubblico.
Ciò che mi interessa è capire come un soggetto propenso a uscire del genere sia potuto finire lì, ad allenare giovanissimi calciatori. Perché? Quale modello capovolto stiamo proponendo? Non sarà che nel mondo dello sport la formazione che riserviamo a chi si occupa di ragazzi che sono nel momento della costruzione della loro identità, del loro carattere, della loro weltanschauung, della definizione del loro modo di stare al mondo, sia quasi esclusivamente tecnica? E pure ammesso che almeno quella sia eccellente, non comprendiamo l'urgenza di mettere a disposizione dei nostri giovani degli allenatori che siano capaci, oltre che a istruire all'esecuzione di gesti, di essere empatici, di insegnare sensibilità e sì, accidenti, una capacità di linguaggio che sia all'altezza del compito? Sono terrorizzato all'idea che, per ragioni varie, ci si preoccupi di trovare ottimi allenatori per le prime squadre e ci si accontenti del primo che passa, o quasi, per i propri settori giovanili. Grandi compiti richiedono grande responsabilità. Qualcuno, ogni tanto, emerge per eccesso di insensibilità e si manifesta navigando spavaldo nel mare inquinato dei social media. Ma, credetemi, ciò che davvero spaventa è la parte sommersa dell'iceberg.