Perché i social ci appaiono peggiori di quello che sono
Ma davvero sono così tanti gli utenti con problemi di comprensione ? Secondo l'Ocse, 11milioni di italiani tra i 16 e i 65 anni (il 27,9% della popolazione, cioè uno su tre) sono «analfabeti funzionali». «Si tratta di persone non in grado di comprendere articoli, contratti e testi minimamente complessi». Gente che finisce così con l'informarsi «solo per sentito dire», magari grazie ai post degli amici, ad articoli con titoli urlati o alle cartoline social con slogan di immediata comprensione. Per capire la gravità del fenomeno basti dire che non riguarda solo le persone con una bassa scolarizzazione, ma anche il 20,9% dei diplomati e il 4,1% per cento di laureati. Com'è possibile? Semplice: «chi non esercita le competenze imparate a scuola o smette di leggere, scrivere e fare di conto finisce col perdere negli anni una parte delle proprie capacità». Ci sono poi i cosiddetti «bias cognitivi». Cioè, i «malfunzionamenti» del nostro cervello (nessuno escluso) che ci portano tra l'altro a dare più retta alle informazioni (anche se palesemente sbagliate o false) e alle idee che confermano un nostro preconcetto e a snobbare tutto ciò che può metterlo in crisi o addirittura smontarlo. C'è anche una terza causa. L'effetto Dunning-Kruger. «È una distorsione cognitiva a causa della quale individui normali tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in una determinata materia».
A rendere le acque social ancor più agitate e torbide c'è anche un fenomeno più recente: la tifoseria digitale politica. Non quella fatta di post, articoli e commenti profondi e ben argomentati, ma quella di bassa lega che deride l'avversario, che cede agli slogan e che usa ogni falsità per colpire il «nemico».
Torniamo ora alla citazione iniziale. Non era (volutamente) corretta. Quella giusta infatti è di Churchill e recita: «L'argomento migliore contro la democrazia è un confronto di pochi minuti con l'elettore medio». Ovviamente è stata pronunciata molto prima dell'avvento dei social (Facebook è del 2004) e su un tema, la democrazia, che ha quasi 2.500 anni di vita. Perché il problema in tutto quello che abbia analizzato non sono tanto le macchine, i computer o il digitale (che hanno comunque difetti), il problema siamo noi. Uomini fragili e in cammino che spesso guardiamo la pagliuzza nell'occhio del nemico ignorando la trave nel nostro sguardo (e i bias nelle nostre menti). In questo senso i social non sono solo luoghi pieni di odio e spazzatura, ma anche sistemi che ci rivelano in parte quello che siamo realmente. Dentro e fuori il digitale.