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Perché è il momento di intervenire sul sistema idrico nazionale

Andrea Zaghi domenica 16 luglio 2017
In Piemonte si è dovuto scegliere: dare l'acqua solo ai risicoltori escludendo i maiscoltori. Scelta non facile, definita da alcuni addirittura dolorosa. Eppure è accaduto anche questo nei giorni del gran secco e dei grandi incendi. Certo il clima cambia e modifica quelli che tecnicamente si chiamano apporti idrici. Ma non si tratta tanto di grandi siccità e nemmeno di piogge torrenziali. Il vero succo del problema che periodicamente stringe al collo l'Italia – quello della mancanza d'acqua oppure del suo eccesso –, è tutto politico ed economico. Occorre cioè cambiare le modalità di gestione delle risorse idriche per usare meglio i soldi che ci sono e per non doverne spenderne altri quando i disastri spazzano via tutto. Questione di pianificazione accorta, di distribuzione di competenze (e di fondi), questione che da tempo immemorabile divide periodicamente gli agricoltori dai "cittadini" su chi consumi più acqua e su come questa venga adoperata. Questione adesso anche internazionale e non solo locale.
In effetti – come ha fatto rilevare l'Anbi (l'Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) nel corso della sua assemblea –, i piani per intervenire ci sarebbero anche. Basta pensare al Piano di Mitigazione del Rischio Idrogeologico, a quello Piano Nazionale degli invasi, ad Irriframe per monitorare tutto. Un apparato di strumenti il cui uso però vale miliardi di euro. Il costo stimato per metter mano in maniera efficace all'intero sistema irriguo nazionale arriva a 20 miliardi in 20 anni. Di fronte a tutto questo, in effetti il governo si è mosso (stanziando ultimamente, per esempio, circa 300 milioni di euro per le opere irrigue nazionali), ma secondo i Consorzi non è stato fatto ancora abbastanza. Secondo Anbi occorre decidere di più e meglio. Serve passare dalla gestione dell'emergenza a quella della prevenzione e quindi degli investimenti per contrastare sia il dissesto idrogeologico che la siccità.
Con un occhio molto attento alle politiche. Che contengono, secondo Anbi, un difetto di fondo. «Non è pensabile – ha dichiarato il presidente dei Consorzi Francesco Vincenzi – che nel nostro Paese la politica dell'acqua sia fatta dagli enti gestori del Servizio Idrico Integrato; non è pensabile che in Europa la politica dell'acqua irrigua sia fatta da Stati, che non irrigano, perché favoriti da apporti pluviali costanti nei dodici mesi dell'anno». Che, detto in parole più semplici significa due cose: non lasciare le politiche idriche solo a chi gestisce gli acquedotti urbani e, a livello europeo, ai Paesi del Nord.