Di comparse - da sempre - è pieno il mondo. Volti che per un istante si affacciano alla luce e poi svaniscono, nomi già dimenticati mentre li si pronuncia, lineamenti intravisti nel tumulto di una folla, dettagli impercettibili, meteore. Per molto tempo quello della comparsa è stato addirittura un mestiere e ancora lo è, in alcune circostanze. Fino all'altro ieri apparire (anzi, comparire) era una remunerazione di per sé sufficiente, perché permetteva di conquistarsi un momento di transitoria, inavvertita notorietà. La differenza è che, da qualche anno in qua, siamo tutti diventati comparse nello spettacolo che qualcun altro mette in scena senza chiederci il permesso. Nessuno è in grado di sapere quante volte la sua immagine sarà catturata da una telecamera di sorveglianza o da uno smartphone, nessuno riesce a riscostruire il tiro incrociato di lenti e obiettivi, di memorie digitali e di messaggi inviati seduta stante. La nostra faccia potrebbe essere dappertutto, forse è per questo che non ci sentiamo più a casa da nessuna parte. Sembrerebbe una condanna, può essere una consolazione. Liberati dall'ossessione di diventare protagonisti, scopriamo la bellezza di rimanere comparse, in attesa di incontrare uno sguardo benevolente e amico, che finalmente ci riconosca.