Il bambino aveva due mesi. Lo avevo in braccio, uscendo dal panettiere ho inciampato e sono caduta. Il port enfant ha attutito l’urto, ma lui piangeva forte. Con il cuore a duecento sono risalita in casa. Si era calmato. Nessuna ferita. Ma, cinque minuti e prende a vomitare. Ex volontaria sulle ambulanze, ho tremato: possibile trauma cranico.
L’ambulanza correva per Milano a sirena spiegata, io mi dicevo è un incubo, sto solo sognando. Il bambino minuscolo, nel tubo della Tac. Che interminabile attesa. In osservazione per 24 ore, Reparto Rianimazione.
Quanto è durata quella notte? Io, a promettere a Dio qualsiasi cosa: ridammelo.
Un’infermiera entrava ogni ora, con una torcia esaminava le pupille. Infine un’alba grigia. Con la luce mi accorgo che la stanza è d’angolo, due finestre che riconosco. Io qui, mi dico, ci sono già stata. Mia sorella, trent’anni prima - la diagnosi in questa stessa stanza.
La faccia di cui parlo oggi è la mia, in quell’alba: sfinita e attonita, in attesa di una sentenza.
Allora ho pensato a mia madre, a quanto aveva patito nell’agonia di una figlia bambina. In un istante ho capito. In un istante ho perdonato ogni cosa.
Pietro si è svegliato, ha svuotato un biberon. Il sorriso del medico: . Quella stessa finestra, quella terribile notte. Capire, infine. Perdonare. Una grazia? Per sentieri segreti, che vengono da lontano.
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