Prima avvertenza: la visione di questo programma è consigliata ai minori solo se accompagnati. Seconda avvertenza: contiene immagini che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni telespettatori. Viene allora spontaneo chiedersi se sia il canale giusto. Eppure è il Nove. Non è difficile trovarlo. È il tasto tra l'otto e il dieci del telecomando. Inoltre, la storia di Gesù è una delle più raccontate e non hai mai fatto male a nessuno, tanto meno ai bambini, anzi: «Lasciate che vengano a me». È però vero, va detto, che anche in casi di fedeltà al Vangelo può succedere che si utilizzino immagini molto forti. Lo ha fatto, primo fra tutti, Mel Gibson per il suo film La passione di Cristo. Ma nel caso televisivo di cui stiamo parlando dove sta l'inghippo? Sta nel fatto che Killing Jesus (mercoledì in prima serata sul Canale Nove) più che ai Vangeli sembra ispirarsi a un giallo politico dove Gesù di Nazareth cede il passo agli eventi e alle decisioni che portarono alla sua condanna a morte. Girato interamente nel deserto del Sahara con una troupe di duecentocinquanta persone e oltre quattromila comparse, il film, che approda per la prima volta in chiaro dopo la visione in pay su National Geographic, è il risultato di un imponente sforzo voluto da Ridley Scott, produttore di un progetto basato sul best-seller omonimo di Bill O'Reilly e Martin Dugard, che non a caso è una riscrittura della vicenda terrena di Gesù attraverso un intreccio stile giallo. Nel cast spicca Kelsey Grammer nei panni di Erode, mentre a interpretare Gesù Cristo è Haaz Sleiman, un attore musulmano. La regia è di Christopher Menaul, che ripropone la fase finale della vita del Nazareno durante la quale, più che fondare le basi della Chiesa, per non dire salvare l'umanità, avrebbe, stando al film-tv, infastidito i potenti dell'epoca. Per cui la produzione cerca soprattutto di ricostruire da un punto di vista storico e sociale quanto accaduto nei giorni della Passione, seguendo e osservando più che altro coloro che si mossero intorno a Gesù. Un racconto laico, insomma, con un Cristo a volte persino sprovveduto, che chiede agli altri perché sia chiamato “Figlio dell'uomo”. Sprovveduto, ovviamente, nell'ottica dei credenti. Per questo non è nemmeno giusto essere troppo severi di fronte a un'opera che perlomeno riconosce il Cristo storico.