Grandi potenzialità ma risultati ancora troppo scarsi. Sono i tratti che caratterizzano lo stato della situazione dell'agroalimentare italiano nei confronti dell'estero. Certo, i buoni risultati ci sono. Basta pensare che le aziende agroalimentari italiane nel 2011 hanno esportato per circa 23 miliardi di euro (+10% rispetto al 2010), concentrati però per il 70% in soli 10 paesi, mentre il 64% del totale è destinato all'Ue. Per pensare di conquistare il mondo è troppo poco. Il problema è come fare. Ad analizzare la questione ci si è messo, di recente, anche il Comitato Leonardo (creato nel '93 su iniziativa di un gruppo di imprenditori oltre che di Ice e Confindustria con l'obiettivo di promuovere e diffondere la «qualità italiana»), che sulla base di uno studio della Sda Bocconi, avrebbe indicato dei punti prioritari da affrontare e una roadmap per il comparto.Gli ostacoli e i problemi da superare sono sempre quelli: sottodimensionamento delle imprese, mancanza di orientamento al marketing e al cosiddetto branding, l'eccessivo localismo degli imprenditori, i forti rischi di ricambio generazionale, l'assenza o quasi in Italia di grandi gruppi alimentari internazionali e la scarsa o nulla presenza di reti di commercializzazione adeguate. «Forte» di un bagaglio di questo genere, l'agroalimentare nostrano ha davanti uno scenario internazionale che «offre interessanti e significative opportunità di espansione ed appare come la principale e più immediata via di sviluppo delle imprese italiane del settore».La formula proposta è – anche in questo caso – la solita: «È necessario superare – viene spiegato – i limiti che caratterizzano e penalizzano il sistema nazionale, per fare pienamente leva sui punti di forza esistenti: dall'eccellenza dei prodotti alla capacità di innovazione e flessibilità, sino alle riconosciute qualità del gusto italiano incarnate nella Dieta mediterranea». È un impegno che, come ovvio, deve riguardare tutti. Le istituzioni devono riconoscere la reale importanza del comparto agroalimentare, il sistema imprenditoriale deve «svegliarsi» per «dare vita a una nuova strategia di crescita all'estero». D'altra parte, non mancano gli esempi di quanto successo si possa avere lavorando bene con i nostri prodotti agroalimentari.Sda Bocconi ha una ricetta in 5 punti: l'agroalimentare deve lavorare di più sulla sua competitività, deve cercare di avere una presenza «sistematica» sui mercati esteri, deve passare da una logica «di prodotto» a una «di valore», deve riuscire a «fare sistema» e deve sganciarsi dalla logica della semplice «tipicità». Concetti perfetti sulla carta, difficili da raggiungere in realtà. Non sfugge una constatazione: di necessità di far sistema, di trovare logiche nuove, di creare reti commerciali adeguate, di passare dal prodotto a qualcosa di più, si parla da anni. Qualcosa è stato fatto, ma evidentemente non abbastanza. La strada per l'estero è ancora molto lunga.