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Per creare nuovi lettori non basta inventare bestseller a tavolino

Alfonso Berardinelli venerdì 23 giugno 2017
Sulla “Repubblica” di domenica scorsa si poteva notare un sintomo culturale secondo me positivo: una posizione preminente della cultura ispanica, sia spagnola che latino-americana, alla quale dedichiamo un'insufficiente attenzione a vantaggio di quella anglosassone che in fondo ci è più estranea. Già nel titolo centrale di prima pagina e con un'ampia intervista all'interno, compariva lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, Nobel per la Letteratura, uno dei protagonisti della narrativa e della saggistica mondiale dell'ultimo mezzo secolo.
Invitato a Bologna al Festival RepIdee organizzato dal giornale di Scalfari, lo scrittore ha parlato di politica, letteratura, società. Nella sua intervista, l'affermazione più forte e discutibile riguarda il “populismo”, giudicato «la grande malattia della democrazia (...) peggio delle ideologie come fascismo e comunismo». È chiaro che i mali del presente sembrano sempre peggiori dei mali del passato, ma l'idea di Vargas Llosa risulta singolarmente cieca. Anzitutto perché, come dice lui stesso, il populismo è un male «della democrazia», mentre fascismo e comunismo sono stati la negazione attiva, consapevole, militante e sistematica della democrazia. E poi perché, nonostante l'attuale uso distorto del termine, populismo significa valorizzazione delle esperienze e dei punti di vista del “popolo”, di chi sta in basso, delle maggioranze sociali escluse dal potere a cui spesso la politica e i partiti non sanno dare voce. Lo scrittore peruviano tende a un liberalismo d'élite e non si accorge che sono proprio i limiti politici delle élite (anche di sinistra) a provocare reazioni “populiste”. I populismi nascono quando le democrazie non sono abbastanza democratiche e i politici non capiscono la società.
La seconda presenza ispanica è quella dell'editore catalano Daniel Cladera, intervistato nel supplemento “Robinson”. Direttore della grande editrice Planeta che ora ha acquistato la nostra DeAgostini, Cladera ragiona sul problema dei problemi: come trasformare in lettori coloro che attualmente non leggono. In questo caso, l'affermazione più forte e discutibile è la sua idea di «inventare il nuovo Zafon italiano», cioè di costruire a tavolino, per l'Italia, un autore di bestseller sul modello di quello che Carlos Zafon è per la Spagna. Trapiantare modelli è sempre un artificio di dubbia riuscita: i bestseller non rispondono sempre a un modello unico. E poi si fa avanti un'idea doppiamente sbagliata: quella dello scrittore inventato dall'editore e quella del libro programmato per il successo. Non è affatto escluso che la realtà possa essere questa: merci librarie prive di un vero contenuto e che ben pochi vorranno leggere.