Per cantare l’epica di Jannik ci vorrebbero Clerici e Galeazzi
non proprio con i fiocchi. Ma tanto, basta e avanza lo spettacolo in campo che offre il portentoso ragazzo di San Candido. In questa settimana torinese delle Finals abbiamo visto cose che noi umani troppo umani del tennis italico stentavamo a credere. E ora ahivoglia il censore Nicola Pietrangeli a tirar fuori dall’insalatiera dei ricordi del secolo scorso termini di paragone rispetto a questo Pel di carota dal talento immenso. Nella regale Torino è nato un re e a prescindere dall’esito della finale di oggi, qui ci troviamo di fronte a un fenomeno tricolore. Italiano di passaporto Sinner, ma per fortuna dati i parametri tradizionalmente sbilanciati del tennis azzurro, poco italiano. Un giovane, altoatesino, più concentrato sullo sport e sul raggiungimento degli obiettivi che sulle vacuità della Generazione Z, ostaggio dei social e delle cantilene tormentone da Italodisco. Stiamo parlando di un 21enne che vive e pensa da saggio: un fenicottero (gambette da rinforzare) dallo sguardo fiero e sempre rivolto ben oltre le vette delle sue Dolomiti, ma con i piedi ben piantati per terra. Di uno così lo scriba massimo dei gesti bianchi, il poeta e anche “quello del tennis”, Gianni Clerici dopo la disintegrazione della bestia nera Medvedev avrebbe riscritto pagine da Guerra e pace. Sinner ci regala già una certezza, che grazie alle sue prodezze aggiorneremo continuamente la storia del tennis mondiale. Non siamo tra le folte schiera di quelli che solo adesso salgono sul carro del vincitore: di Jannik sapevamo che prima o poi sarebbe esploso fino ad arrivare al vertice, ma non era nelle nostre facoltà prevedere il come e il quando. Ora che è accaduto, ci ha piacevolmente spiazzati come una delle sue smorzate a rete, e l’effetto che restituisce al Paese in preda alla “Sinnermania” è un briciolo di autostima in più, perché un tennista italiano, potenziale n.1 del mondo, cominciavamo a temere di non poterlo incontrare mai. © riproduzione riservata