Pensioni rosa, beffa per l'Inps
Il placet sindacale alla mini riforma ed il risparmio della spesa pensionistica che ne ricaverà l'Inpdap sembrano garantire una tranquilla applicazione delle nuove misure, di là dalle diverse esigenze personali delle lavoratrici interessate. Quasi tutte raggiungono l'età pensionabile avendo alle spalle una discreta anzianità di servizio, ben superiore al requisito minimo di 20 anni di contribuzione.
La scorciatoia. Solo chi compie i 60 anni nel 2010 e 2011 dovrà attendere almeno i 61 anni per avere la pensione di vecchiaia. Si possono tuttavia avanzare molti dubbi sull'efficacia di questa riforma. Basta considerare, fra le varie norme interne all'Inpdap, anche la legge 322 del lontano 1958 ma tuttora in vigore. Questa legge riguarda i dipendenti pubblici, uomini e donne, che per vari motivi lasciano il servizio senza aver maturato i requisiti minimi (contributi e/o età) per la pensione. I loro versamenti resterebbero inutilmente incamerati dall'Inpdap e quindi la legge impone di trasferirli all'Inps, in modo che gli interessati possano utilizzarli in questo Istituto.
In pratica, una lavoratrice statale che si dimetta prima di aver compiuto l'età pensionabile, vedrà i suoi contributi transitare all'Inps e dall'Inps otterrà la pensione non appena compiuta l'età pensionabile nel settore privato che resta ferma a 60 anni.
Il meccanismo della legge 322 consente perciò di saltare a piè pari l'aumento dell'età pensionabile. L'interessata, infatti, non avrà alcuna convenienza ad attendere la pensione a 61 (o 62 ecc.) anni. Le basterà dimettersi dal servizio un mese prima di compiere la nuova età, non otterrà la pensione dall'Inpdap non avendo i requisiti completi (contributi ed età) ma potrà ottenere lo stesso assegno dall'Inps. Il sacrificio dell'ultimo mese di stipendio val bene l'anticipo della pensione in termine di anni. Alla fine della fiera, sarà l'Inps a registrare nel suo bilancio anche le pensioni delle statali. Riusciranno queste lavoratrici a sfuggire al fascino della 322?