«Dai dai dai, dagli una spinta…». L'indimenticabile canzone dello Zecchino d'oro del 1965 pare sia stata intonata nel Canale di Suez dalle alacri maestranze egiziane intente a disincagliare la Ever Given. Neanche a un bambino ospite di Mago Zurlì passerebbe per il capo di far transitare un bastimento più lungo di quanto il canale sia largo. Ma i bambini sono avveduti. E così, come scrive Massimo Nava sul “Corriere” (29/3), ecco «un altro drammatico simbolo della fragilità del nostro mondo globalizzato e dalla nostra dipendenza da sistemi economici e sociali troppo complessi e troppo interdipendenti per essere governati (...). La Ever Given è la metafora di un gigantismo insensato». Ma allora dobbiamo piangere, perché ridere sarebbe segno di superficialità? Ci soccorre Michele Serra sulla “Repubblica” (30/3) trattando con leggerezza, e acume, «l'irresistibile gag». L'incidente di Suez è stato «una breve tregua comica, come se al comando di quel cargo ci fosse Mister Magoo. E questa è un'ottima notizia, perché il comico è per eccellenza il linguaggio del limite, e dio sa quanto bisogno abbiamo di riprendere confidenza con il concetto di limite». Quella minuscola è sua.
Sulla stessa “Repubblica” ma il giorno prima (29/3), Enrico Franceschini aveva invece scritto: «Non c'è niente da ridere: la campana di Suez suona per tutti i forzati della navigazione», con «navi sempre più grandi, equipaggi sempre più piccoli». Ma Serra non molla: «Il pernacchio è salute, quando inciampa il Re, quando un'invincibile armata si insabbia. Perché invincibili non siamo». Il lato buffo della vicenda non sfugge neanche al “Manifesto” (29 marzo), che ricorda come nel 1967, allo scoppio delle “guerra dei sei giorni”, 15 navi rimasero intrappolate, non per pochi giorni ma per 15 anni, proclamandosi “Repubblica marinara”. Fa sorridere (chi legge, non chi scrive) anche il refuso nel servizio di Ettore Lavini (“Repubblica”, 30/3): «Hanno dragato 30mila metri cibi di fango». Accidenti a chi, sulla tastiera, ha piazzato la “u” accanto alla “i”.