«Nuovo, come l'odore della terra dopo la pioggia. Come la migrazione delle gru verso il cielo d'Europa e delle carpe che risalgono la corrente del fiume. Nuovo, come il pianto del figlio che nasce nonostante il timore dell'incerto. Come i primi passi fuori dal sepolcro della bugia e i primi battiti dopo una malattia. Nuovo come l'amicizia che si rinnova dopo un tradimento. Come il rosso dei papaveri in mezzo alle spighe di grano e il blu della prima pennellata della notte stellata. Nuovo, perché il Nuovo accade, che tu lo voglia o no». Viva, efficace, icastica, la poesia di Francesco Fiorillo è come un bagno di scatti, d'immagini rigeneranti, colpi di colori primari, il rosso, il blu, e il verde glauco, trasparente dell'acqua, sfumata di smeraldo, dove guizzano le carpe, risalendo le correnti dei fiumi, verso il Vecchio Continente. Rigenerato anch'esso nella citazione del nome di una fanciulla - Europa - che, dalle coste fenicie, per la sua bellezza, fu rapita da Zeus e che gli diede il nome. La poesia rende ragione dell'anima dei giorni: il corpo che guarisce, un figlio che nasce e l'imbarazzo devoto delle spighe, chinate a fare largo al rosso spavaldo e solenne dei papaveri. L'involucro della bugia si rompe e appare il cielo pennellato di stelle.