L'ottantesimo anniversario dell'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor, alle Hawaii, ha dimostrato ancora una volta quanto dal punto di vista televisivo siano importanti i documentari e i docufilm, che non sono esattamente la stessa, ma che sono comunque riconducibili all'unica idea di documentare avvenimenti e ambienti della realtà oltre alla storia delle persone. Al tempo stesso ha confermato che il genere documentaristico, senza dubbio uno dei più adatti alla televisione, resta confinato, tranne rare eccezioni (ad esempio di recente Rai 2), in spazi di nicchia come i canali tematici. Non è un caso che proprio l'altro ieri, a ottant'anni esatti da quel tragico 7 dicembre 1941, siano stati Rai Storia con Pearl Harbor, History Channel con La vera storia di Pearl Harbor e National Geographic con Pearl Harbor: attacco letale e Pearl Harbor: io c'ero a mandare in onda documentari e docufilm sull'avvenimento realizzati sostanzialmente con le stesse modalità: immagini di repertorio quanto più possibile, racconti di testimoni diretti (tra cui in Attacco letale anche un pilota giapponese di 103 anni), analisi storiche da parte di esperti e ricostruzioni fiction in alcuni casi. I lavori proposti hanno documentato le fasi dell'impressionante attacco aereo nipponico che causò l'affondamento di gran parte della flotta statunitense, ma soprattutto più di 2 mila e 400 morti. Ricostruiti anche l'intreccio di alleanze e incidenti diplomatici dello scontro Usa-Giappone per il controllo del Pacifico e i conseguenti sviluppi della guerra. A distinguere i quattro documentari, a parte la diversa datazione, alcune differenze di lettura in chiave più o meno patriottica in ottica americana, senza comunque nessuno che si sia sognato di difendere in qualche modo l'operato giapponese.