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Pazienza e denaro, l'unica ricetta per il nostro pallone autarchico

Italo Cucci venerdì 8 aprile 2011
Non sono dottore, eppure uno straccio di laurea mi spetterebbe visto il sempre più alto numero di pazienti che mi chiede ricette, ovviamente non per necessità personali ma per migliorare le condizioni di salute del calcio italiano, dai più ritenuto gravemente malato; per molti - dopo la batosta subìta dall'Inter - addirittura in stato comatoso. Le richieste mi son presentate soprattutto da coloro che mi sanno cronista da mezzo secolo, quindi esperto di vittorie e di sconfitte ma soprattutto testimone di altri precedenti sfaceli. E alla fine mi rendo conto di una vicenda paradossale che mi tocca: io, cioè, per i miei amabili frequentatori son tenuto a ricordare, proprio in questo mondo pallonaro in cui vige la smemoratezza, addirittura la protervia dell'oblìo a comando. Nessuno vuol rammentare, ad esempio, che dopo il sorteggio l'Inter era stata indicata come favoritissima e fortunatissima per aver beccato lo Schalke 04 (1904); e che fino al derby Leonardo era un grande tecnico, secondo - forse - solo a Mourinho! L'altra sera in tivù, a "Novantesimo Champions", ho avuto un serrato scambio di idee con Zibì Boniek, peraltro uno dei più lucidi e competenti commentatori di un calcio che ormai si serve di legioni di opinionisti già pedatori, non sempre alfabeti: vista cadere l'Inter in modo così drammatico e ridicolo insieme, il mio interlocutore aveva buon gioco ad accusare lo stato a suo dire fallimentare del calcio italiano; e non era facile, per me, rispondergli che la nostra cultura pallonara è poco internazionale e molto nazionale, nel senso che c'è maggior impegno sul fronte del Campionato che su quello d'Europa. E in fondo - concludevo - è vero o no che il penultimo Mondiale l'ha vinto l'Italia? È vero o no che l'ultima Coppa dei Campioni l'ha vinta l'Inter? Così, quando mi si chiedono ricette per la salvezza di questo povero mondo non posso che rispondere: il tempo, ovvero la pazienza, quanta ne ha avuta Massimo Moratti che l'ultima Coppona l'aveva vinta nel 1965, 45 anni prima di Mourinho (la storia dell'Inter, ormai, si divide in "aM e dM"); ovvero il denaro, come ha fatto ad esempio Berlusconi quando ha voluto rivitalizzare il palmares rossonero ingaggiando il Trio Olanda e altri piedidoro a suon di miliardoni. «Ma come? - mi diceva Zibì esterrefatto - Non esiste che qualcuno preferisca vincere lo scudetto piuttosto che la Champions...». Eppure non ha forse mai fatto caso - lui - di essere arrivato a indossare la maglia della più popolare squadra d'Italia (milioni di milioni di innamorati) quando la Juventus - sì è lei - non aveva ancora vinto una Coppacampioni, e proprio con Boniek, nell'85, mentre aveva già conquistato 21 scudetti. Il primo successo europeo della Juve è una Coppa Uefa del '77, quando già gli scudetti erano 17. E l'Inter? Tre Coppe dei Campioni, la prima nel '64 quando già aveva 8 scudetti. Il Milan, che di Coppone ne ha vinte 7, era già popolarissimo e 8 volte scudettato quando coglieva il primo grande successo europeo nel '63, al punto che Berlusconi ha preteso un impegno europeo più forte per superare il Real Madrid: nella quantità di trofei, non nella qualità, visto che il Real di Coppe dei Campioni se n'è aggiudicate nove, fin dalla nascita nel '55/'56. Ancora oggi molti italiani non sanno che la finalista della seconda edizione - vinta naturalmente dai madridisti - era la Fiorentina. Potrei anche ricordare che il Genoa 1893 - primo club italiano - ha vinto solo due Coppe delle Alpi e che storicamente il club più "esterofilo" fu il Bologna, vincitore della prima importantissima Coppa dell'Europa Centrale nel 1932. Passa il tempo, ma noi siamo ancora più legati ai Comuni e ai campanili che alle Capitali. Il sogno della Roma che sta diventando americana sapete qual è? Vincere la decima Coppa Italia, quella della stella...