«Patatine blasfeme, non comprarle». Più che la defezione serve la protesta
Caro Avvenire,
mi riferisco agli spot pubblicitari delle patatine Amica Chips, in cui il valore più sacro di Cristo Eucaristia viene ridicolizzato senza ritegno. Grazie per gli articoli che avete proposto sul fatto. Vorrei fare un appello: sarebbe un segno molto forte che scuole religiose, oratori con bar e spacci, cinema parrocchiali e famiglie tutte, se davvero disapprovano, si attivino per escludere il prodotto citato dai loro scaffali e dal loro consumo. Personalmente, toglierò questo prodotto dalle mie spese. Scandalizzarsi senza poi mettere in pratica gesti concreti, sarebbe solo ipocrisia.
Ferruccio Arosio
Caro Arosio,
lo spot di cui hanno scritto senza sconti su "Avvenire" Francesco Riccardi e Lucia Bellaspiga ha suscitato molte reazioni di sdegno e azioni formali (tra cui quella dell'Aiart) e ciò ha contribuito allo stop decretato d’urgenza dall’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria.
Ha quindi senso ragionare, come lei suggerisce, su forme di “boicottaggio” commerciale, che oggi possono assumere diverse forme. Dubito che quello di oratori e cinema parrocchiali sia un mercato abbastanza grande da pesare sui bilanci di un’azienda nazionale. Resta, certo, il gesto di principio (mi sovviene che certe sere sull’autobus a Milano il mio timbrare il biglietto sia più un atto di testimonianza civica che il pagamento di un servizio: nessun altro passeggero sembra infatti contemplare l’idea di farlo).
Se consideriamo che la polemica relativa alla pubblicità in questione può avere un effetto positivo sulle vendite (dando immeritata visibilità al prodotto), risulta probabilmente più efficace la protesta della defezione (per usare le categorie descritte dall’economista Albert Hirschman nel suo famoso libro sull’alternativa a disposizione di chi si trova di fronte a servizi la cui qualità è in peggioramento). Se la merce non è buona, più che uscire dal negozio e cercarne un altro, meglio chiamare il titolare per avere spiegazioni. In altre parole, nella società dell’immagine e del tentativo di rivestire le attività produttive di una patina valoriale (ecologica, sostenibile, inclusiva), bisogna smascherare attivamente chi fa solo professione di eticità senza realizzarla nei fatti.
Un sistema informativo come “Avvenire” ha la possibilità di centrare questo obiettivo con tempestività ed efficacia. Ma anche gruppi di pressione dal basso possono mobilitarsi per ottenere lo stesso risultato. La cattiva reputazione è ciò che i grandi marchi temono di più, e quando commettono un passo falso che merita la pubblica riprovazione, è giusto che ne paghino le conseguenze. Amica Chips, non a caso, ha fatto ieri una tardiva precisazione di non avere voluto recare offese ai credenti.Se i cattolici in Italia sono diventati un “piccolo gregge”, possono ugualmente essere lievito evangelico con i mezzi messi a disposizione dalla moderna tecnologia.
Non essere ipocriti, caro Arosio, comporta però un prezzo. Non il rinunciare a un bene dispensabile e facilmente sostituibile, ma il mettersi contro la cultura dominante, una certa tolleranza indifferente a quasi tutto eppure spesso maldisposta verso la religione cristiana. Importante, penso infine, è pure non cadere nella sindrome del bastian contrario e dosare bene l’indignazione e le campagne di protesta. Affinché risultino credibili e fruttuose. Per tutti.