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Pasta cara, si cerca il colpevole

Andrea Zaghi sabato 21 luglio 2007
Il prezzo della pasta crescerà per colpa della necessità di rispettare l'ambiente e di inquinare meno. Sembra un paradosso ma potrebbe non esserlo. Colpa dei meccanismi perversi dei mercati, che spostano le materie prime a seconda degli usi più convenienti e che a loro volta sono influenzati dagli andamenti climatici e dalle politiche. Ciò che però indica una eventualità di questo genere, anche se fosse confermata solamente in parte, è che l'agricoltura è davvero uno dei settori 'globalizzati' per eccellenza. Altro che comparto lasciato a sé stesso, chiuso alla modernità, avulso dai meccanismi ' magari contorti ' dell'economia moderna. I problemi, invece, arrivano proprio dalla natura globalizzata dell'economia agroalimentare alla quale si può rispondere, però, in maniera tutto sommato semplice ed efficace.Partiamo dalla cronaca. Negli ultimi giorni Federalimentare, l'associazione degli industriali alimentari italiani, ha lanciato l'allarme sulla concreta possibilità che nei prossimi mesi si possano verificare aumenti dei prezzi al consumo dei principali alimenti. Prima di tutto proprio la pasta, che potrebbe veder salire i prezzi del 20% a causa dell'aumento dei prezzi del grano duro che serve pure per la produzione di etanolo. Stessa sorte potrebbe toccare ad altri generi di prima necessità come quelli a base di cereali, uova, latte, burro, carne. Causa di tutto questo, gli aumenti di prezzo delle materie prime agricole, spesso la scarsità delle stesse nei mercati comunitari oltre che la crescita del costo dell'energia. Una situazione che è arrivata a determinare criticità di bilancio tali da ' è stato dichiarato ' non poter essere più assorbite dalle ordinarie politiche commerciali. Da qui, appunto, le ripercussioni sui consumatori. Una prospettiva che, tuttavia, è stata duramente commentata proprio dai produttori agricoli. Basta pensare ' ha sottolineato per esempio Coldiretti ' che per un euro speso per acquistare la pasta, solamente 8 centesimi vanno davvero agli agricoltori che diventano 5 se si acquista del pane. E basta pensare che proprio le quotazioni del grano sembra siano le stesse di quasi trent'anni fa. Da qui l'affondo dei coltivatori: gli allarmi sui prezzi sono semplicemente attacchi strumentali al comparto. E non solo, perché per gli agricoltori tutto questo nasconderebbe anche un'altra strategia: far passare con più facilità la crescita delle importazioni di prodotti di più bassa qualità ma spacciabili, una volta entrati nel Paese, come frutto del Made in Italy alimentare. La soluzione? Probabilmente quella più banale ma più efficace, adottata fra l'altro già in Francia questa settimana: sedersi attorno ad un tavolo e parlarsi per capire come fare. Partendo magari da un dato di fatto: nella filiera del valore alimentare, gli agricoltori contano per il 19%, l'industria per il 30 e la distribuzione per il 51%. Tre numeri che dicono chiaramente quanto vi sia di sproporzionato in questo comparto e chi davvero dice l'ultima parola sui prezzi.