Parrocchie integrate: se ne parli, magari ripensando come chiamarle
Condivido l'ottimismo di Garelli: «Di sicuro è una novità che interpella la fede, perché la rende meno comoda», tuttavia «la possibilità del confronto tra realtà diverse vicine territorialmente, fino a poco tempo prima separate da steccati campanilistici, può essere stimolante per tutti», dice fra l'altro. Ma quel che più mi rallegra dei due articoli è che non vi appare più in primo piano la definizione di "unità pastorali". Essa è certamente servita ai ricercatori - che se ne occupano da almeno 25 anni - per sintetizzare la direzione verso la quale suggerivano ai vescovi di procedere, ma è stata ed è troppo "fredda" e dunque poco servibile per accompagnare i fedeli e ancor più i parroci in un viaggio che vivono spesso con preoccupazione. Come ha scritto l'arcivescovo di Bologna Zuppi nella sua prima lettera pastorale ( tinyurl.com/y7vebcaz ): «Dobbiamo pensare a zone pastorali, nelle quali una chiesa collegiata o pieve o altro nome, coordini più parrocchie e realtà ecclesiali, senza perdere, anche nella denominazione, il senso della comunione e della maternità della Chiesa».