«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!» (Lc 19,42). Queste parole di Gesù nel constatare quanto Gerusalemme fosse rimasta impermeabile all'appello dei profeti, e indifferente al messaggio che egli stesso le portava, si rovesciano come un pianto, come un lamento sconsolato, un grido che esplode. E infatti l'evangelista san Luca dice che Gesù si mise a piangere. Ci sono momenti in cui le parole non sono proprio parole, o non sono soltanto parole. Le lacrime di Gesù scorrono attraverso di esse, le irrorano di un'intensità e di un significato nuovi. Che cosa sono le lacrime? "Attraverso le mie lacrime io racconto una storia", spiega Roland Barthes nel suo Frammenti di un discorso amoroso. Quando piangiamo, anche se lo facciamo nella più stretta solitudine, ci rivolgiamo a qualcuno. Noi piangiamo sempre perché un altro veda. Se questo è vero, verso chi piange Gesù? Piange davanti al Padre perché sulla terra non è riconosciuto come colui che «potrebbe portare la pace»? Piange affinché Gerusalemme (che etimologicamente significa "la città della pace") si riscuota dal suo sonno? Piange per tutte le rovine? Per tutte le vittime?