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Paranoia, quando tutti vedono un'invasione

Umberto Folena domenica 16 giugno 2019
Chi è paranoico ha delle fissazioni. Si considera al centro di complotti che solo lui sa individuare, gli altri no perché o sono irrimediabilmente ingenui o perché partecipano al complotto. Chi è paranoico è accerchiato dai nemici. Chi è paranoico è l'unico ad aver capito tutto e si sente superiore alla massa ignorante. Se la realtà lo smentisce, egli modifica la realtà per piegarla alla propria visione della realtà stessa. Il pensiero paranoico è, insieme, «logico e impossibile, coerente e contraddittorio, umano e disumano. È una maschera tragica» (questa e altre frasi citate in seguito sono tratte dal volume Paranoia. La follia che si fa storia di Luigi Zoja, Bollati Boringhieri, 2011; Zoja ha lavorato a New York, Zurigo e Milano ed è stato presidente dell'associazione mondiale degli analisti junghiani).
Incontrare un autentico individuo affetto da paranoia è molto difficile, perché il disturbo interessa appena lo 0,03 per cento della popolazione. Ma questa è la paranoia individuale (clinica), una parolina, non difficile da individuare e da cercare di curare. Quando diventa una parolaccia, ecco la paranoia collettiva, che interessa porzioni ampie di popolazione e perfino, in circostanze estreme, (quasi) intere nazioni. I pochi rimasti immuni sono rapidamente ridotti al silenzio. D'altronde, la paranoia collettiva viene riconosciuta soltanto molto dopo che è passata. In genere troppo tardi.
E se anche l'Italia di oggi fosse interessata da una forma di paranoia collettiva?
La paranoia, appunto, si fonda su convinzioni che possono cozzare con la ragione. Ma la ragione non le incrina minimamente. La paranoia ha bisogno di minacce e complotti, non importa se irragionevoli. La convinzione di essere invasi resiste anche all'esibizione delle nude cifre: in Italia ci sono assai meno immigrati che negli altri Paesi europei, e i musulmani sono in minoranza. Non importa, siamo invasi. Solo una ristretta minoranza di musulmani sono fondamentalisti e potenziali terroristi. Non importa, sono tutti delinquenti. Alcuni musulmani lavorano con me nella mia stessa azienda, persone tranquille, integrate... Non importa, potrebbero essere abili dissimulatori. Se le navi delle Ong salvano dei naufraghi, sicuramente sono al centro di un complotto in cui tutti sono complici nel progetto di invasione. Non ci sono le prove? Io "so" che è così.
La convinzione non ha bisogno di prove. L'Europa è cosa assai complessa e ha portato enormi benefici tra cui uno su tutti, che pare scontato ma non lo è: pace, dopo secoli di guerre che hanno devastato il continente, e benessere, dopo secoli in cui povertà, analfabetismo e scarsa salute erano la norma. Ma il pensiero paranoide scarta tutto ciò che smentisce la propria convinzione, peraltro basata su barlumi di verità: l'Europa è un grumo di burocrati ottusi che attentano alla nostra sovranità. «Se l'individuo sente delle "voci" – scrive Zoja – la psichiatria può considerarlo folle. Ma anche la massa soffre di allucinazioni, quasi sempre uditive».
I mass media diventano complici, più o meno consapevoli. Dovrebbero costituire un filtro capace di «trattenere l'impurità del pensiero, al contrario spesso la potenziano». A lungo andare, la paranoia collettiva riesce a diffondere un vero e proprio "stile di pensiero" abbracciato da un numero sempre più ampio di individui. Se sono così tanti a esserne convinti, non possono sbagliarsi. E la paranoia vince. Per sempre? No. «Alla lunga – scrisse Freud – non c'è istituzione umana che possa sottrarsi all'influenza di una visione critica ben fondata». Ma i tempi, appunto, possono essere lunghi. A volte tragicamente lunghi.