Che fine ha fatto la critica letteraria? Non mi pare che esprima oggi molto di rilevante, soffocata com'è dalla sua perdita d'importanza, dal declino del giornalismo e da quello dell'università nella sua deriva burocratica. Le retoriche di questi anni - inerti per la storia della cultura come raramente è accaduto e, quando competenti, tuttavia iper-conformiste, iper-accettanti "lo stato delle cose" così come imposto da chi ha il potere di imporlo - lasciano poco spazio all'acume individuale, a visioni profonde sul mondo in cui viviamo, a visioni non superficiali. Pensando a questo torna alla mente un esempio di altri tempi quando sui romanzi e sui film importanti che uscivano si scatenavano polemiche e riflessioni, pagine e pagine dei quotidiani e dei settimanali, e gli intellettuali contavano, e come!, nella storia di una società. Il critico di cui allora mi fidavo di più era Paolo Milano che, ebreo, era tornato dall'esilio americano e diventato critico letterario dell'"Espresso". Era amico di Chiaromonte, Saul Bellow, Dwight Macdonald, e nel 1957, a un incontro della siloniana Associazione per la libertà della cultura, mi presentò - evento per me indimenticabile - Pier Paolo Pasolini, di cui leggevo tutto quel che scriveva, e Ralph Ellison, il primo nero a cui detti la mano, di cui corsi a leggere uno dei massimi capolavori della letteratura statunitense, Uomo invisibile (nella traduzione di Luciano Gallino). La rubrica di Milano, su "L'espresso" di Arrigo Benedetti, non riguardava solo i romanzi, ed egli stesso ne raccolse il meglio in un volume feltrinelliano che mi è ancora da guida, Il lettore di professione (1960). Dopo la sua morte (nel 1988) una comune amica, Laura Gonzales, fece per Adelphi una scelta dei suoi diari dal 1947 al '55, soprattutto newyorkesi, con il titolo Note in margine a una vita assente. Fu un recensore formidabile, Paolo Milano, e consiglio a chi voglia ragionare sui libri che escono di riprendere in mano Il lettore di professione. La sua rubrica non riguardava solo romanzi, anche memorie, epistolari, diari di viaggio e saggi, e anche libri dell'altro ieri riproposti dagli editori del tempo. Ma soprattutto i romanzi contemporanei, italiani e stranieri: Musil e Camus, Morante e Orwell, Kafka e Pasternak eccetera. L'intelligenza, l'onestà, il rispetto per l'autore e per il lettore in uno sforzo di mediazione, l'invito a scoprire o a rileggere, e soprattutto a ragionare, a capire prima di giudicare. L'estetica dentro una società, infine, nel loro complesso, difficile, necessario rapporto, confronto. Paolo Milano non si definiva un critico ma «un lettore di professione», era un critico militante che conosceva assai bene i limiti e i pregi del suo mestiere, come oggi ben pochi, mi pare, sanno ancora conoscere.