Fra le oltre duemila fotografie del Sacrario dei caduti partigiani in piazza del Nettuno, a Bologna, c’è anche quella di mio nonno, Alfredo Cavina, della 36a Bg. Garibaldi: poco importa se l’immagine che lo ritrae è quella di un altro, si tratta di uno dei tanti errori che capitarono nei tempi concitati al termine del conflitto. La memoria della resistenza antifascista, da cui nacque la costituzione repubblicana, è stata garantita. Basterebbe questo a rendermi cara la città felsina, ma poi c’è dell’altro. In un bar di via dell’Orso, proprio all’angolo di via Indipendenza, si conobbero i miei genitori nei frenetici anni del Secondo dopoguerra: lui, romano, girava per l’Italia facendo il venditore ambulante; lei, romagnola, era appena tornata dal Friuli, dopo la fuga dal treno della deportazione e la fucilazione del padre. Quando passo a Bologna, sosto davanti a questi due luoghi. Dopodiché salgo in Sala Borsa dove, coordinata dalla maestra Perla Scicolone, opera la scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati. Molti dei ragazzi africani che la frequentano fuggono da Paesi che la democrazia se la devono ancora conquistare. Come dicevano i greci, il fiume continua a scorrere sotto i nostri occhi: l’acqua sembra la stessa, ma è sempre diversa.
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