L'istituto Luce, fondato ai tempi del fascio, ha il merito storico indiscutibile di aver conservato una quantità enorme di film, un archivio di «immagini in movimento» che erano accompagnate a suo tempo da commenti spesso abominevoli, ma che hanno documentato la realtà italiana e ne permettono ancora oggi una lettura assai diversa da quella preventivata e ufficiale. Di recente il Luce ha realizzato alcuni film significativi, di qualità e interesse diverso a seconda dei suoi curatori: per esempio una interminabile storia di famiglia romano-americana di Marina Piperno, Diaspora, i due film di conversazione con Giulio Andreotti stabiliti con acume (ma soggiacendo spesso alla forza del personaggio) da Tatti Sanguineti, e un film per molti versi appassionante di Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna (curatore quest'ultimo dell'efficacissimo accompagnamento sonoro) dal titolo Lascia stare i santi. Con abile montaggio di materiali d'archivio spesso meravigliosi – proprio nel senso che suscitano la meraviglia e l'ammirazione, nostalgica in chi quell'Italia ha conosciuto e sbalordita in chi è nato dopo – Pannone ha costruito un ideale «viaggio in Italia» in bianco e nero e a colori delle feste popolari, tutte, di fatto, d'impronta religiosa. Motivo conduttore ne è il culto dei santi che Enzo Bianchi, nelle conclusioni, afferma essere stati (o essere ancora) per il nostro popolo, e in particolare per quello contadino e proletario al Nord come al Sud, le figure di riferimento, di mediazione tra la propria condizione di precarietà e di insicurezza e il Sacro, il Divino. I Santi come più prossimi alle esperienze comuni, i Santi come esseri che furono umani e più che umani, bensì vicini per consacrazione ufficiale e per culto popolare, alla Divinità. Sono immagini bellissime e a volte strazianti per la loro forza e la loro bellezza quelle di questo film, immagini che tutti dovrebbero vedere e che andrebbero mostrate nelle nostre scuole. Le accompagnano le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni che leggono brani di grandi scrittori che a questi fenomeni hanno dedicato la loro rispettosa e curiosa attenzione, da Silone a Dolci, da Soldati a Pasolini, da Scotellaro a Alan Lomax, da Gramsci a Vittorio De Seta. Ci si diverte, ci si commuove, si rivive un tempo vitale e si torna ad amare un popolo che è stato, nel suo analfabetismo, così spesso il geniale costruttore di una propria cultura, del tutto autonoma da quella ufficiale, statale.