Le chiamano le “spose dottoresse”: la laurea in medicina nel cassetto per dedicarsi alla famiglia, perché così vogliono le tradizioni e le aspettative sociali. In Pakistan i medici sono 170mila, di cui il 70 per cento sono donne. Ma solo una su quattro esercita la professione; le altre stanno in casa e i loro studi sono serviti solo a garantirsi un buon matrimonio. Sara Saeed Khurram era destinata a essere una "sposa dottoressa". Ma a 30 anni la prima figlia l'ha precipitata in un vortice di amore e di depressione post partum. «La sola cosa che mi ha salvato era il pensiero di tornare a lavorare», dice. Non si è arresa alle aspettative della famiglia, grazie anche a un marito «altruista e non misogino», dice in una conversazione via Zoom con Avvenire. In Pakistan consultare un medico è un miraggio per metà della popolazione, sia per il costo sia per la distanza da cliniche e ambulatori. L'idea di Sara è stata insieme semplice e geniale: richiamare in servizio le "spose dottoresse" per offrire un servizio di telemedicina a basso costo alle donne più deprivate, comprese quelle che per la loro religione non potrebbero accostarsi a un medico dell'altro sesso. Così è nata Sehat Kahani (salute in urdu), una piattaforma online che garantisce un consulto medico immediato al costo calmierato di 80 rupie pachistane, pari a 37 centesimi di euro. Alla piattaforma si può accedere attraverso l'applicazione che garantisce una risposta medica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Oggi Sara ha 35 anni e i figli sono diventati due; lei e la sua socia Iffat Zafar hanno arruolato 7mila medici, al 90 per cento donne. Quasi 5mila di loro sono mogli e madri: lavorano da casa quando possono, di mattina o di sera, mezza giornata o tutto il giorno, e riescono a mettere d'accordo famiglia e professione. «Un ostacolo è che in Pakistan solo il 15-20% delle donne ha un cellulare. Chiediamo ai mariti di scaricare l'applicazione, ma fondamentale è stata la scelta di aprire punti fisici di accesso nelle zone rurali più lontani dalle città». Oggi le cliniche sono 38, situate nella fascia di territorio da Karachi a Faisalabad. Le strutture sono presidiate da infermiere che con computer e Ipad garantiscono il collegamento con le dottoresse ed eseguono ecografie e analisi di laboratorio. Nelle cliniche lavorano oltre 300 operatrici, impegnate a migliorare le condizioni di salute soprattutto femminile nelle zone più deprivate del Paese. Dall'inizio delle attività, la piattaforma ha garantito 900mila consulenze online, alle quali si aggiungono decine di corsi gratuiti, seminari e una campagna capillare di informazione sul Covid. In tutto sono stati coinvolti 7,2 milioni di persone su una popolazione complessiva di 224 milioni. Sara è una giovane donna determinata e affascinante, con lunghi capelli bruni e occhi profondi: «Le nostre professioniste affrontano a distanza questioni di tutti i tipi: disturbi mentali, diabete, patologie croniche, problemi ginecologici, pediatrici o legati alla gravidanza – racconta ad Avvenire –. Una paziente da 12 anni provava senza successo ad avere un figlio e non poteva permettersi le cure mediche. Finalmente ha consultato online le nostre dottoresse, che hanno curato e risolto il problema. Dopo 3 mesi era incinta. Con il nostro lavoro stiamo rendendo il diritto alla salute più equo per le donne. Di questo sono fiera». Sara non si ferma qua: «Espanderemo la nostra piattaforma in Sri Lanka, Bangladesh, Nepal e Afghanistan. Perché ogni donna ha diritto a cure mediche di qualità».