Si chiamava Felice Cappello, ma rendeva “felici” gli altri. È morto da 60 anni, ma la sua memoria è ancora viva in tanti che per anni hanno avuto la fortuna di incontrarlo nella vita e in confessionale. Prete, gesuita, professore di Diritto canonico e di teologia morale, autore di centinaia di pubblicazioni, ma capace di incontrare ogni giorno anche i fratelli più piccoli senza far pesare le differenze di cultura e di autorità. Nasce in montagna, a Caviola, presso Belluno, l’8 ottobre 1879, battezzato a Pieve di Forno di Canale nella chiesa di San Giovanni Battista, stesso “fonte” in cui poi sarà battezzato anche un certo Albino Luciani, suo lontano cugino. A scuola si segnala subito come bravissimo, ma senza ambizione di primeggiare. Sente la vocazione sacerdotale, entra in Seminario e il 20 aprile 1902 è prete. Su incarico del vescovo insegna subito Diritto, in pochi anni si laurea in filosofia, teologia, diritto canonico e civile, ma non si sente soddisfatto e allora si fa pellegrino a Lourdes: dopo una drammatica notte di preghiera presso la Grotta decide di entrare nella Compagnia di Gesù, nel 1914. Lo mandano subito a insegnare nel Collegio di Anagni e poi lo chiamano a Roma alla Pontificia Università Gregoriana. La sua capacità di ascolto e di risposta fa sì che spessissimo le varie Congregazioni di Curia gli sottopongano i problemi più scottanti. Una volta a Roma, quasi subito si apre il capitolo della sua presenza in confessionale per 40 anni, 3 volte a settimana nella chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio. Quel confessionale oggi è lì, accanto alla sua tomba. Per decenni il suo appuntamento di Penitenza diventa abitudine di grandi e piccoli, ricchi e poveri, famosi e sconosciuti. Si parlò di lui anche in occasione della morte di Curzio Malaparte, che gli avrebbe chiesto gli ultimi Sacramenti. Conobbe bene anche Concetto Marchesi, e a chi gli chiedeva se confessando a Sant’Ignazio avesse mai avuto qualche conversione rispondeva sorridendo: “Quasi ogni volta!” Visita spesso anche gli ammalati negli ospedali, e incontrando i poveri svuota alla lettera le sue tasche. Nei suoi consigli di vita cristiana non si dilunga, ma ricorda che il desiderio veramente “cordiale”, cioè “con tutto il cuore”, deve essere “stare con Dio” in ogni istante della propria vita. Quasi subito lo chiamano all’Università Gregoriana per Diritto e Morale, e con le sue pubblicazioni, centinaia, si conquista anche grande fama di maestro di spiritualità. Il suo primo volume, “La conoscenza di Dio secondo la ragione”, gli conquista la collaborazione alla “Civiltà Cattolica” ove scrive anche di politica, e nel 1904 con “La questione dei cattolici alle urne” entra in conflitto dialettico con la scelta del Non Expedit pontificio e con l’allora sempre valida Bolla del “Sillabo”, sugli errori della modernità. Molto celebri i suoi cinque volumi sui sacramenti tra cui il monumentale “De Matrimonio”, poi edito per sette volte.
Tra le sue amicizie spiccano don Luigi Orione, don Giovanni Calabria, Chiara Lubich, Igino Giordani e ovviamente Albino Luciani, suo conterraneo. Apprezzato dai confratelli dal 1947 al 1951 è eletto consultore della Provincia romana dei gesuiti. Così, tra il confessionale, i suoi scritti, i poveri e gli ammalati passa la sua vita, visibilmente felice fino al 25 marzo 1962, festa dell’Annunciazione. Quel giorno arrivò ai gesuiti un telegramma di papa Giovanni XXIII che lo dichiarò «specchio intemerato di virtù e zelo sacerdotale». Ai suoi funerali parteciparono 20mila persone… 28 anni dopo, nel 1990 è stato introdotto l’itinerario del processo di beatificazione, la cui fase diocesana si è conclusa il 24 giugno 2014 e lui è stato dichiarato “Servo di Dio”. Nel 50º anniversario della sua morte di lui hanno scritto Domenico Mondrone, “Il confessore di Roma”, e poi, stesso titolo, Valerio Lessi, Camerata Picena, Ed. Shalom, 2018. Felice lui, felici noi di averne conosciuto qualcosa di più.
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