Olio d’oliva produzione giù, cresce l’export
el mondo l’olio di oliva italiano riscuote sempre più successo, ma in Italia se ne produce sempre di meno. Contraddizioni di un comparto tra i più preziosi dell’agro alimentare, che indicano chiaramente la fragilità del settore oltre che le sue grandi qualità. A far di conto sull’olivicoltura nostrana ci ha pensato in questi giorni la Coldiretti in occasione di una manifestazione a Cosenza. La sintesi della situazione sono due estremi. Da una parte, a causa della siccità e dei cambiamenti climatici, l’Italia ha perso il 37% della produzione di olio d’oliva con «un impatto pesante sulla disponibilità di prodotto e sui bilanci delle aziende, colpite dagli aumenti record dei costi di produzione legati alla guerra in Ucraina». D’altro canto, fanno sempre notare i coltivatori diretti, nel giro degli ultimi trent’anni le esportazioni di olio d’oliva italiano nel mondo sono quasi triplicate (+170%). Risultato, questo, di molti fattori che hanno favorito l’apprezzamento prima e la diffusione del nostro prodotto poi a scapito della concorrenza. Il problema, quindi, non sta tanto sul fronte della bontà e della conoscenza dell’olio nazionale, quanto nelle strategie commerciali da rinnovare costantemente e, soprattutto, negli effetti del cambiamento climatico. Basta pensare che complessivamente la campagna 2022-2023 si attesta su una produzione di 208 milioni di chili di olio d’oliva contro i 329 milioni dell’annata precedente. Clima avverso, dunque, come maggior concorrente degli olivicoltori italiani, senza dimenticare casi particolari ma eclatanti come quello della Xylella, che pare abbia già ucciso circa 21 milioni di piante. Eppure l’olio italiano vince su tutti i mercati. Anche quelli nazionali, naturalmente. Ciò che più conta, comunque, sono le vendite oltre confine. Stando a Coldiretti le esportazioni hanno raggiunto nel 2022 quasi 360 milioni di chili. Buon successo dovuto alla cucina italiana ma certamente anche all’abilità commerciali dei nostri produttori. I problemi comunque devono essere in qualche modo affrontati. Ad iniziare dalle politiche commerciali della concorrenza per passare alle indicazioni scorrette in etichetta e senza dimenticare i tagli di produzione. In gioco non c’è solo un alimento inimitabile, ma un giro d’affari di oltre 3 miliardi e un sistema di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione. © riproduzione riservata