Alla fine ha dovuto prendere una posizione netta, inequivocabile. Un singolo comitato olimpico, il Canada, lunedì, ha diramato un comunicato ufficiale che chiariva in modo drammaticamente semplice un concetto: «I nostri atleti non parteciperanno ai Giochi Olimpici di Tokyo, qualora si svolgessero nelle date oggi previste». Uno squarcio, definitivo e coraggioso, di un velo dietro al quale il Comitato Olimpico Internazionale, aprioristicamente e come un mantra, si rifugiava ripetendo: «I Giochi si faranno». Fino all’altroieri almeno, perché da ieri, anche grazie al varco creato dal Canada, quelle certezze che ormai facevano quasi tenerezza, sono state saggiamente archiviate. Non ci credeva, comunque, più nessuno e la concretezza della realtà faceva apparire a tutti come fuori dal mondo quello strenuo tentativo di aspettare chissà quale soluzione miracolosa. Beh, visto che i miracoli non li hanno potuti fare né i membri del Cio, né Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, i Giochi non si faranno quest’anno ma con molte probabilità nel 2021.
Avrei certamente preferito un esito diverso, tanto per il sentimento che mi lega personalmente ai Giochi Olimpici, quanto per la salute del nostro Paese e dell’umanità intera. Conosco perfettamente, avendo vissuto due volte, ad Atene nel 2004 e a Londra nel 2012, la magia del Villaggio Olimpico, e so che quello è il posto più vicino all’ideale di perfezione che io abbia mai visto con i miei occhi. Sono anche certo che i Giochi Olimpici potrebbero rappresentare uno straordinario momento di rilancio per l’umanità intera. Proprio per queste premesse, con il cuore spaccato, dico che era impossibile immaginare che tutto questo succedesse alla fine di luglio e anche nel corso del 2020.
Le ragioni sono di vario tipo: una, molto concreta: tanti sono i tornei di qualificazione ancora da disputare, tutti in primavera, e che in queste condizioni è letteralmente impossibile disputare. Un’altra ragione, altrettanto evidente, sta nell’impossibilità di allenarsi, tanto per chi deve ancora qualificarsi, quanto per chi è già qualificato. Ma c’è anche un terzo motivo: considerato che di questo virus non si è ancora capito molto, che cosa sarebbe successo se, nell’imminenza dell’inizio dei Giochi, avesse attaccato con la stessa violenza che vediamo in Europa altri continenti oggi, relativamente, più tranquilli? Il Sud America o l’Africa per esempio? La più gigantesca sconfitta immaginabile per un evento planetario, a maggior ragione in un momento come questo, sarebbero stata quella di assistere a dei Giochi dimezzati. La prossima estate, quindi, i Giochi non si faranno ed era folle e irresponsabile sostenere il contrario. Come è folle e irresponsabile continuare a pensare di poter riprendere a breve i campionati di calcio, di pallacanestro o di pallavolo: ne va della sicurezza degli atleti, di tutti gli addetti ai lavori, della salute pubblica e ne va del messaggio simbolico che lo sport porta con sé.
Sarà meraviglioso ripartire dallo sport, certo, ma al momento giusto. Farlo, al contrario, nel momento sbagliato sarebbe la più inutile e volgare mancanza di rispetto di un dramma così globale che l’Italia, in prima linea, e il mondo intero stanno attraversando.