Oldani e la cucina metafisica di Lombardia
Oldani (Melegnano, 1947) ha pubblicato relativamente poco, e questo depone a favore della sua serietà di poeta. Dopo l'esordio, propiziato da Giovanni Raboni, con Stilnostro (1985) bisogna attendere fino al 2001 per Sapone, e poi fino al 2005 per la plaquette La betoniera. Oldani è peraltro presente sulle riviste, in alcune antologie, ed è tradotto in varie lingue.
Deposte certe grumose carnalità imparentate con la macelleria testoriana, qui Oldani è più sciolto, più felice, anche gnomico e ironico, con una scrittura che sarebbe piaciuta a Raffaele Crovi. Ci sono poeti che scrivono specchiandosi nella pagina, altri che si guardano dentro, e altri ancora che si rivolgono a un pubblico. Oldani, come tutti i poeti che tendono all'epigramma, appartiene alla terza schiera, e qui non rinuncia alla strizzatina d'occhio non tanto per trovare complicità quanto per esibirsi in bonarie provocazioni.
Daniela Marcheschi, nel risvolto, allude a Berni e a Leopardi, ma anche a Dante, Folengo, Arcimboldo e Rebora (eterogenea compagnia) per qualificare una poesia in cui "divertimento alto e gusto popolaresco assumono una veste nuova". In effetti, metafore corporali e alimentari sono frequenti in Oldani, fin dal titolo della raccolta, desunto dalla poesia dedicata alla Lombardia, dato che il poeta è lombardo-lombardo, della bassa lodigiana: "è la pagnotta larga della nebbia / dentro nella ciotola lombarda / sotto di un cielo bianco come il lardo. / e si alza il sole, è un'irrancidita / fetta tagliata a mano di salame, / di questo metafisico sublime / che il pane non lo nega neanche a un cane". Poesia davvero emblematica dell'intera raccolta, anche nella forma, strutturata com'è in sette versi (quasi sempre endecasillabi) a formare una terzina e una quartina separate da un punto che non pretende la successiva maiuscola. Delle 105 poesie, ben 62 rispondono a questo schema; altre 12 sono costituite da due quartine, e le restanti sono poco più lunghe. Una terzina e una quartina, cioè un sonetto in due pezzi, tranciato sul tagliere come la massaia fa con le verdure: "è raro un barbablù che macellava / le donne poi confezionate a pezzi / le inceneriva al forno della stufa. / mia madre con la lama sul tagliere / trancia il sedano e scuoia la patata / poi eviscera i legumi con un dito, / strazia il pudore verde all'insalata". E questa pittura, se non Bacon, è almeno lombardamente un Arcimboldo.
La genericità di certo pacifismo, confinante con la viltà, è ben stigmatizzata da questi sette versi: "non ci amareggia del tutto se il vicino / si fa un infarto per la lite in corso / ma con la guerra l'animo è diverso. / se non si è proprio là dove c'è il fatto / si è almeno in tanti contro gli oppressori, / lui garibaldi ci sarebbe andato / ma io se parto chi mi innaffia i fiori".
E il lirismo, in mezzo a tante gastronomiche lepidezze, dove va a finire? C'è anche quello, con la burbera tenerezza delle due quartine di Cucire: «vorrei tu fossi l'ago del rammendo, / io il tuo refe doppiato a trapassarti / sgomitolato da me stesso inquieto / e posti insieme noi, siamo un cucire. / è un verbo di lavoro e ha un senso caro / di coppia che rinsalda opposti lembi / ma, soli, tu puoi solo le punture / e io afflosciare, rete senza un mare». Non ci sono dubbi: questa è la pronuncia di un poeta vero.