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«Oggi tutto è trasformato in arma...» Un grande rischio. L’Ue batta un colpo

Andrea Lavazza martedì 24 settembre 2024
Caro Avvenire, Weaponisation è un “simpatico” neologismo anglofono che ha fatto, a quanto ne so, il suo ingresso ufficiale poche settimane fa nei documenti Ue. In particolare, il termine compare alle pagine 25 e 27 delle Political Guidelines for the next European Commission 2024-2029 di Ursula von der Leyen. Si dice che «stiamo assistendo ad una weaponisation di tutti i tipi di politica, dall’energia, alla migrazione e al clima. In conseguenza il nostro ordine internazionale basato sulle regole sta cedendo e le nostre istituzioni globali sono divenute meno efficienti» (p. 25). Weaponisation significa tendenza a trasformare ogni cosa in arma, infrastrutture, energia, cibo, riserve alimentari, ricchezza finanziaria e, oggi, lo vediamo in Libano, addirittura i cercapersone e gli walkie-talkie... Umberto Baldocchi Caro professor Baldocchi, ho dovuto ridurre a un solo assaggio la sua lunga e acuta analisi. L’idea centrale è però chiara, e lei così ci aiuta a comprendere una dinamica preoccupante dei nostri tempi. Non poteva pertanto ignorarla il documento programmatico della Commissione Ue. Trasformare in armi elementi della nostra vita quotidiana è un atto che ci appare immediatamente odioso e che non è un’invenzione di questi anni, ma un’antica forma di sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Pensiamo alle penurie provocate scientemente per mettere in ginocchio nemici sia esterni sia interni. La grande carestia in Irlanda a metà dell’Ottocento fu per lo meno assecondata dalle politiche di Londra, mentre l’Holodomór subito dall’Ucraina tra il 1932 e il 1933 costituì, a parere di molti storici e Stati, un genocidio compiuto da Mosca nei confronti della provincia riottosa alla collettivizzazione.
Venendo ai nostri giorni, la globalizzazione, mettendo in relazione le economie e le società con una forte interdipendenza reciproca, fa crescere le occasioni di porre in atto ricatti da parte di chi ha progetti imperialistici o anche più modesti obiettivi di arricchimento. Lo si vede sull’energia e, purtroppo, anche sui flussi di migranti. Un’“arma” usata tragicamente dalla Bielorussia come dalla Libia (“Avvenire” è sempre stato in prima linea nel denunciare questi crimini). Oggi vediamo e raccontiamo con raccapriccio la “militarizzazione” (potremmo tradurre così weaponisation) anche dell’elettronica di consumo, perché a tale categoria appartengono i cercapersone fatti esplodere in Libano (da noi li usano ancora i medici negli ospedali). Strumenti civili che vengono trasformati in subdoli mezzi di guerra, come ho avuto già modo di scrivere a caldo. In questo modo, si mina la fiducia in apparati ormai parte integrante della nostra vita, che dovrebbero essere protetti dalle regole del diritto umanitario che distinguono tra combattenti e non combattenti, come già avviene per abitazioni e infrastrutture. La sua conclusione, caro Baldocchi, è negativa sulla capacità dell’Unione europea di uscire da questa logica, con una conseguente perdita di democrazia. Non sono d’accordo. Rilevare un fenomeno non significa approvarlo. La Ue dovrebbe, questo sì, essere più incisiva nei teatri di scontro ai suoi confini, sostenendo il diritto di difendersi degli aggrediti ma anche mettendo in campo iniziative diplomatiche per provare a fermare conflitti infiniti. Si tratta dell’auspicio e dell’invito che dobbiamo rivolgere in modo pressante in questo inizio di legislatura europea. Un momento propizio che non possiamo sprecare. © riproduzione riservata