Da noi si dice panettone. In Spagna, torrone. Ci ha spiegato Luis Enrique - vittorioso a Bologna come a Napoli, ovvero col favore degli avversari - che fino a due settimane fa temeva di non mangiare il torrone, di tornarsene nella Asturie sconfitto dalla romanità. E dal catenaccio. Serissimo, era, in quei giorni, il volto triste di una scultura in legno priva di sorriso; così come dopo le due vittorie più importanti della sua giovane carriera s'è lasciato andare a riti fanciulleschi . Un bel personaggio, insomma, genuino, si direbbe con un aggettivo ormai difficile ad usarsi anche con gli alimenti "chilometro zero" che magari li producono addirittura in un altro continente. E noi italiani, invece, dalle Alpi al Lilibeo, pensiamo al panettone. (Nota: il Lilibeo, patria provvisoria di Cicerone e dove fu trovata la Venere Callipigia, figura di presunta bellezza e d'immenso fascino pur se - o proprio perchè - priva di testa, il che la dice lunga sui motivi del successo, è dalle parti di Marsala, e io che vivo nei dintorni, a un braccio di mare, vi garantisco ch'è giusto dargli valore, soprattutto estetico, di italico confine). Scusate la divagazione, col panettone non si scherza, come dimostra la disoccupazione anticipata di Devis Mangia che da precario s'era procurato un buon contratto. A termine, naturalmente: chè con Zamparini tutto termina, prima o poi. Anzi, prima. Mangia in largo anticipo sul Natale è tornato a Cernusco sul Naviglio che i natali gli ha dato e gli ha imposto la tradizione dolciaria, magari di Alè-magna, ch'è tutto dire. A Palermo era andato oltre la misura sostenibile: e infatti mangiava il panettone col gelato. Insomma, questi non sono alati pensieri e tuttavia l'altra sera, mentre il recupero di un turno di campionato bruciato per sciopero veniva significativamente qualificato con una valanga di gol, sono stato tentato di giudicare i tecnici italiani in base al merito del panettone, attribuendogli voti da zero a cinque. E allora, cinque panettoni a Conte, Allegri e Guidolin: ampia scorta di dolce fiducia; tre a Edy Reja che non è riuscito a metter sotto il fastidioso Chievo-Paluani; tre anche a Ranieri, Luis Enrique e Mazzarri che invece son riusciti a riveder le stelle; e tre a Montella, il più giovane e competente frutto di Coverciano; due a Colantuono, poveraccio, condannato alla pena di Sisifo, lui costruisce e Doni distrugge. Uno a Di Carlo, tanto glielo dà il suo presidente produttore; uno - beneaugurante - a Bortolo Mutti, allenatore n°47 di Zamparini; uno anche a Tesser, perchè fa esistere il Novara nei limiti di un'antica, educativa favola calcistica nei giorni della depressione e dello scandalo. E agli altri niente. Niente panettone a Colomba, condottiero di un Parma distratto e leggero; a Delio Rossi, illusosi di poter fare, per quali virtù non è dato sapere, quel che non riuscì neanche a Prandelli; a Ballardini, presuntuosamente tornato a sfidare l'insostenibile leggerezza di Cellino; a Sannino, che vorrebbe vendere al prossimo il primato dell'intelligenza tattica mentre il Siena chiede solo punti. A Malesani, qui collocato per totale demerito, sei indigesti babà e l'esonero di ieri. A Pioli (Bologna), Arrigoni (Cesena) e Cosmi (Lecce), poveracci, offrirei solo una ciambella. Di salvataggio. E auguri.