Nudi alla meta, campagna elettorale «senza pensiero»
Il fenomeno non è nuovo naturalmente, e neanche così sorprendente. Ma la sua intensità e trasversalità sta superando ogni precedente, soprattutto per due ragioni di fondo. La prima è comune a tutte le democrazie nelle quali è in vigore un sistema elettorale di impianto proporzionale: tra le controindicazioni di questo modello, nelle analisi internazionali sugli effetti storici che esso ha determinato a tutte le latitudini compare sempre – ai primi posti – l'aumento della spesa pubblica. Perché i partiti, necessariamente impegnati a differenziarsi rispetto ai competitori, hanno un tremendo bisogno di conquistare gli elettori promettendo loro nuovi e costosi interventi da parte dello Stato. E quindi tendono a promettere ciò che non potranno mantenere, scavando un fossato insuperabile tra le lusinghe della campagna elettorale e le privazioni della successiva fase di Governo.
La seconda ragione è invece tipica, purtroppo, del sistema italiano. È la debolezza delle fondazioni politiche, dei think tank e dei centri di ricerca sulle politiche economiche e sociali: in media provinciali, asfittici e autoreferenziali, dediti più a celebrare convegni e a cercare finanziamenti che a costruire pensiero politico. E quindi, in definitiva, incapaci di svolgere quella preziosa e insostituibile attività di elaborazione di modelli e di idee a supporto delle concrete poliche, che invece caratterizza il ruolo dei migliori think tank negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. Morti per implosione i partiti politici di massa, estinta la mitica categoria dei funzionari di partito, svanite le scuole di classe dirigente siamo giunti nudi alla meta. Così ricchi di creatività, così poveri di pensiero. E di buona politica.
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