«E tu, buon Puck, togli subito quella cotenna stregata dal corpo dell'ateniese: così, quando egli si sveglierà, potrà tornarsene ad Atene e ricordare questa notte agitata solo come un sogno crudele». Momento culmine di uno dei maggiori capolavori di Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, la prodigiosa commedia dell'incanto onirico: il bosco, la notte, i destini degli uomini che si intrecciano mossi dalle trame dei sovrani delle fate, dai capricci degli elfi. Una magica rappresentazione del potere del sogno, del mistero della vita, la cui forma ridente cela, come solo il genio di Shakespeare può fare, la natura abissale del contenuto. Siamo verso la fine della commedia e del sogno, all'alba la notte si dissolverà, con il suo incanto. Oberon, il re delle fate, ingiunge a Puck, l'elfo suo luogotenente, di ridestare i giovani che hanno vissuto la stranissima notte nel bosco. E qui, sorridente, nella leggerezza della commedia, una delle svelanti letture shakespeariane della realtà profonda: quando ognuno di noi, come il giovane rampollo ateniese, si sveglia, ricorderà la notte trascorsa come se fosse stata un sogno. Crudele, se notte agitata e incubosa. Felice, se ricca di visioni serene. Ma quello che ci pare di ricordare come un puro sogno, è qualcosa che è realmente accaduto. L'altra parte.