Partite quasi ogni giorno, un'abbuffata dopo la dieta. Il calcio continua a essere la cosa più importante delle cose meno importanti: se non si fosse fermato il campionato, molti italiani non si sarebbero nemmeno accorti che c'era la pandemia. Giocano, è vero, ma è quasi sparito il dribbling, l'arte di superare l'avversario dopo averlo puntato, in velocità o con una finta. Telecronisti eccitati ci informano che il calcio di oggi ringhia, lancia, incorna, sciabola. Ma non scarta più. In porta si è soli, sul dischetto del rigore il mondo è alle spalle, dal calcio d'angolo cambiano le prospettive. Ma nel dribblare si è circondati, e occorre fuggire. Ed è un'altra cosa. C'è ancora Messi, c'è Dybala, c'era Maradona. Ma uno come Omar Sivori non l'abbiamo rivisto più. Merce rara, diversa. Calzettoni bassi, scatto breve, immarcabile: le sue serpentine erano inviti a teatro. Se il gol è tutto anche quando è per caso, il dribbling è una scintilla. La liberazione palla al piede. Cercare l'avversario, sfidarlo con gli occhi, circumnavigarlo d'astuzia: gioco di gambe, balletto, pennellata difficile, da uomini coraggiosi. Che sanno rischiare con la giusta dose di insolenza e di consapevolezza di sé. E per questo sono immensamente belli e perduti.