«Dirò innanzitutto che vi sono angoli della mia esistenza che fin dall'inizio furono abitati da Mozart. Non mi pare che altri inquilini musicali dovessero essere cacciati per fargli spazio. Avevo una sorella, molto più grande di me, che suonava il piano. Non suonava particolarmente bene, era solo un perfetto metronomo. Ma mi fece conoscere Mozart». Chi racconta (con libertà, invitante, dalle pur dotte indagini musicologiche) è Saul Bellow, lo scrittore americano che ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura nel 1976. Era stato chiamato a Firenze per celebrare il centenario della morte di Mozart, il 5 dicembre 1991. Aveva annunciato che si sarebbe limitato a parlare in nome della massa silenziosa di appassionati del compositore, i milioni di profani che da due secoli provano gioia ascoltando la sua musica. Ha invece offerto una meditazione, poi pubblicata, non solo sul musicista e sul mistero della sua intima felicità creativa, ma su chi, tra noi contemporanei, ascolta musica, e poi sulla tecnologia, sui concetti di modernità, di sincerità, di potere, di gioco e di lavoro. «Mozart era un "diverso" che non comprese mai la natura della sua diversità. Beethoven rivendica la propria grandezza. Mozart no. Mozart non si occupa di sé; piuttosto è assorto in ciò per cui è nato».