Non c'è soltanto l'emergenza sanitaria da Coronavirus, la cui evoluzione è (ancora) poco prevedibile, che purtroppo rischia di accompagnare le nostre vite per un periodo non breve e contro cui dobbiamo batterci ogni giorno, con comportamenti rigorosi e nuove attenzioni. E non c'è solo l'emergenza macro-economica che misureremo in termini (soprattutto) di Pil perduto e di posti di lavoro bruciati, e che il Governo sta provando ad arginare con una serie di misure economiche e sociali. C'è anche un'altra questione, di cui pochissimo si discute, ma che rischia di diventare cruciale nel secondo Paese manifatturiero d'Europa: l'emergenza produttiva. «Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta» amava ripetere Winston Churchill. Il coraggio di continuare è la vera sfida che molti imprenditori italiani stanno affrontando, a proprie spese, in queste settimane. Si tratta di centinaia di migliaia di piccoli imprenditori, costretti a fronteggiare un calo dei consumi improvviso e violento. Non sono soltanto gli albergatori, i ristoratori e gli operatori della mobilità ma anche i protagonisti di gran parte del settore manifatturiero, come ad esempio (solo per citarne alcuni) i produttori di abbigliamento e di autoveicoli, di elettronica e di mobili. Non operano soltanto in Lombardia e in Veneto, ma in tutto il Paese. La quasi totalità del sistema produttivo italiano, in questo momento, deve fare i conti con danni rilevanti già subiti e con stime di danni futuri su cui regna una totale incertezza. Per chi rischia ogni giorno sul mercato della produzione, è lo scenario peggiore possibile. Nel quale chi fa impresa, chi ci governa e i cittadini tutti dovrebbero avere un solo obiettivo: garantire la continuità produttiva. A partire dalle zone rosse – quelle attuali e quelle che purtroppo saranno dichiarate tali a breve – in cui le aziende che hanno la possibilità di organizzarsi adeguatamente in materia di prevenzione sanitaria devono avere la possibilità di non fermarsi, o se sono state costrette a farlo di ripartire subito, mediante iter autorizzativi che tengano conto di questa esigenza (a differenza di quelli in vigore) ed efficaci supporti fiscali e contributivi. A maggior ragione occorre garantire la continuità produttiva nel resto d'Italia, dove i fattori di rischio possono essere limitati preventivamente grazie allo smart working e la prevenzione sanitaria può essere migliorata sulla base dell'esperienza delle zone già colpite. Molte piccole aziende che spengono la luce e chiudono i battenti oggi, rischiano di non riaprire più. È una fine spesso silenziosa e poco coinvolgente sul piano dell'emotività collettiva, ma che fa molto male al nostro futuro. Dobbiamo iniziare rapidamente a tenerne conto.
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