Non c'è giustizia senza dignità
Tuttavia, personalmente, non sono riuscito a dare una risposta a tanti interrogativi che mi hanno accompagnato in questo anno. Ad esempio: è giusto togliere un padre o una madre a un figlio piccolo, spedendoli in prigione, a causa di una condanna per rapina o per un reato minore divenuta definitiva dopo tanti anni, e di cui magari l'imputato è venuto a sapere per un casuale controllo della Polizia stradale? Dov'è la giustizia nel dover lasciare un figlio e, talvolta, anche un lavoro trovato con fatica? Interrogativi che mi porto a casa ogni sera, pur tenendo conto delle esigenze di sicurezza per i cittadini e il rispetto per le vittime.
Ascoltando ragazzi e adulti comprendo come molti vivano momenti difficili in prigione. Uomini che hanno assistito anche a dei suicidi, anni molto duri, momenti di grande sconforto, di desolazione e devastazione. Il carcere è una prova più dura anche della malattia. Mentre un malato può rassegnarsi o sperare, infatti, in prigione si è sempre vigili con la mente, però ci si trova in un mondo parallelo. Fuori la vita continua, dentro il detenuto è come "parcheggiato". Una persona che è stata in cella porterà sempre quella cicatrice, ma è necessario trasformarla in qualcosa di positivo. Il carcere va vissuto con dignità. Bisogna sapere accettare, rispettare le persone che fanno parte dell'istituto penitenziario, scontare la propria pena e capire gli errori, perché solo così si può andare avanti e non tornare indietro.
*Padre Stimmatino, cappellano
Casa circondariale maschile
"Nuovo Complesso" di Rebibbia