È arrivato il caldo e, come ogni anno al solstizio d'estate, si entra nella nuova stagione, secondo l'ordine cosmico che domina l'universo mondo. Dopo un maggio un po' anomalo tutto torna nelle regole e anzi magari, ai primi accenni di giornate di sole prolungate, si griderà alla siccità... Che situazione strana: sembriamo impauriti davanti a ogni cambiamento, senza accorgerci che il cambiamento è nella natura stessa del tempo. Sui giornali di questo inizio settimana il nuovo spauracchio sono gli insetti: dalle cavallette che hanno invaso la Sardegna alle cimici asiatiche che infettano le piante. Su un giornale locale leggo addirittura di «piaga delle specie esotiche» e del conseguente business da disinfestazione: le ditte che si occupano di questa pratica sono quadruplicate nel giro di 10 anni. Quattromila imprese pronte a vendere i loro prodotti, che risolveranno il problema solo temporaneamente. Ma – dicono – «è la logica conseguenza dei cambiamenti climatici, dell'estremizzazione degli sbalzi di temperatura e di umidità, che sono l'ambiente ideale per la proliferazione degli insetti». Eccoci quindi di fronte ad un nuovo allarme, che si aggiunge alla morìa delle api e delle farfalle, custodi della nostra biodiversità. Ora, se da un lato questa situazione desta preoccupazione tanto che Coldiretti stima perdite con valori significativi per la raccolta di mele, pere e nettarine, dall'altro ci si chiede perché resti silente un dibattito sulla ricerca, che è la fonte di investimento che dovrebbe informare un Paese serio, deciso a giocare sul medio e lungo periodo anziché sull'emergenza. Nello scorso week end sono stato sul lago Maggiore a trovare un'amica che ha creato una piccola oasi ispirata alla coltivazione naturale. Ha realizzato un ecosistema secondo tecniche antiche che mettono nello stesso ambiente prede e predatori, lasciando al terreno la libertà di autoregolarsi. E mi ha colpito alla sera, usciti di casa, vedere le prime lucciole che accendevano la notte di giugno. Era tanto che non le vedevo, ma soprattutto m'è parso raro osservare appezzamenti di orti impagliati dove tutto cresce secondo la giusta misura e un sistema di alberi arieggiato, aperto, voluto così non solo per un problema estetico (era molto bello a vedersi), ma per favorire la giusta penetrazione di luce e di sole. Lì non si usano fitofarmaci e nemmeno insetticidi: si osserva, si agisce, si accompagna in qualche modo l'esprimersi della natura secondo la scienza dell'empirismo. Non sarà del tutto risolutivo ma certo è una ricchezza, se combinato con quella che chiamiamo scienza. Ma chi glielo spiega al business della disinfestazione?