Non a caso: questa espressione ricorrente mi spinge a rifiutarla, per il suo uso applicato a sproposito. Non a caso: allora come? Con piena consapevolezza, con premeditata intenzione, per mandato divino? Le alternative del “non a caso” sono innumerevoli e se non specificate, sono formula vuota. «Democrito che il mondo a caso pone»: l’accusa di Dante condanna il filosofo greco all’Inferno. Il Caso in questo caso spodesta il Padreterno. Da non credente simpatizzo per il caso e per il casaccio, la sua variante più confusionaria. Attribuisco loro le sorti pubbliche e private, il collasso di stelle, il salto del virus da una specie all’altra. Attribuisco loro l’amore, non la guerra, che invece risponde a volontà di sopraffazione, contando su presunzione di superiorità. I fatti smentiscono spesso l’aggressore, che perde per strada la superiorità. Niente ha da spartire con il fato, il destino, la trama prescritta. «La carta sa da chi deve andare» dice il ragazzino, figlio del portinaio, costretto a giocare a scopa con il nobile decaduto, interpretato da Vittorio De Sica in “L’oro di Napoli”. Il ragazzino vince ogni partita a gran dispetto del titolato e spiega le vincite con la frase citata: la carta favorisce chi è più bravo. Dal ragazzino accetto la lezione. Lui sì che a buon diritto potrebbe pronunciare la formula: «Non a caso».
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