Noi italiani, sempre amici dell'acqua
La perfetta esecuzione tecnica di quel tuffo, quella grazia, sembrano essere necessari ad affrontare quel mondo ignoto. Guardare quell'immagine, che essendo affrescata all'interno della tomba era stata pensata per non essere vista da occhi di viventi, ma soltanto dal morto, è come leggere Hemingway che descrive uno dei suoi eroi: coloro che erano capaci di manifestare grace under pressure (la capacità di conservare la grazia anche sotto pressione). L'acqua può essere elemento di passaggio post-mortem, come in questo caso, o inno alla vita, come nel sacramento del Battesimo. Acqua che circonda, avvolge, accarezza. Acqua calma che blandisce o furiosa che distrugge. Acqua che può essere dolce, salata, limpida, torbida, calda, gelata. Acqua che diventa specchio (e permette a ogni Narciso di innamorarsi del proprio riflesso). Acqua che scorre: «nella stessa acqua di un fiume non ci si può bagnare due volte» ci ricordava il filosofo Eraclito. L'acqua, semplicemente, è l'elemento che ci custodisce e protegge prima ancora di venire alla luce, che abbandoniamo nel momento in cui nasciamo e al quale, inconsciamente, vogliamo tornare.
Chissà se i nostri fantastici atleti, reduci con un bottino di medaglie dai Mondiali di nuoto a Gwangju, pensano a tutte queste cose quando si allenano. Probabilmente no, fanno fatica e basta e grazie a quella fatica, grazie al loro allenarsi come fachiri, abbiamo vissuto un range così ampio di emozioni! Dai fulminei 50 metri rana della quattordicenne Benedetta Pilato, ai lunghi chilometri in mare del venticinquenne Gregorio Paltrinieri, dalla forza di squadra dei pallanotisti guidati dal loro condottiero Sandro Campagna, alla straordinaria qualità individuale dell'intramontabile Federica Pellegrini. Diciamocelo: il nostro Paese, circondato dal mare, per altre ragioni sarà anche il Paese di santi e poeti, ma sull'essere navigatori e nuotatori, beh, non ci sono dubbi. Che incredibile paradosso. Noi, gli Italiani, che solcammo le acque per esplorare il mondo, che affidammo alle acque il destino di milioni di nostri nonni o bisnonni e che dominiamo le acque delle piscine raccogliendo serialmente medaglie, oggi sembriamo spaventati da un pericolo che arriva dall'acqua. Realtà o narrazione? O narrazione che struttura la realtà? Noi, gli Italiani, dell'acqua siamo amici da sempre. Ci siamo nati, biologicamente, come tutti, ma poi siamo cresciuti, culturalmente, in una penisola dove nessun Comune è lontano più di 300 chilometri dal mare. Senza traffico e rispettando i limiti, al massimo due ore e mezza di macchina. Ce lo ricorda la storia, ce lo ricorda il presente, ce l'ha ricordato qualche mese fa perfino il ministro e vicepremier Luigi Di Maio che, preso dall'entusiasmo, aveva dichiarato che «l'uomo è fatto d'acqua al 90%». Aveva esagerato un po', scatenando l'ironia della Rete. Forse, da buon alleato di un sovranista, non intendeva l'essere umano in generale (quello si ferma al massimo al 60%), ma l'Italiano vero. D'altronde, tutto è storytelling.